Caro direttore, leggendo Avvenire di oggi, 19 gennaio, mi è ribollito il sangue, perché sono veneto e ho 85 anni, e dunque il fascismo l’ho vissuto sulla mia pelle da bambino. Sono del 1935, e mio padre non si è mai iscritto al fascio, dunque la mia famiglia non aveva la "tessera annonaria" e io il pane l’ho mangiato solo nel ’45.
Ricordo bene quando il fascista di turno mi chiedeva cosa avessi mangiato per colazione... E se dicevo, per sfida, «pane e latte» mi dava 10 colpi di canna sulle mani. Nel ’42, era il 10 di ottobre, scappando da un bombardamento, andai a finire sotto a un carretto carico di grano e mi rovinai la gamba destra, perdendo l’articolazione al ginocchio. Un giorno arrivò una lettera che però imponeva anche a me di andare al sabato fascista.
Ci andai più che contento perché alle 17, ogni volta, veniva una incaricata con un cesto di panini imbottiti di olio di semi e zucchero, e quello per me, che l’avevo visto passare da lontano, era l’odore del pane. Stavamo seduti a gruppi di dieci con un istruttore fascista; avevo appena 8 anni e la bava alla bocca, ma quando la signora fu sul punto di darmi il panino, lui disse di no. Gli dissi che avevo fatto ginnastica anch’io come gli altri. Niente. L’amico che avevo al fianco, mi diede allora un pezzo del suo pane, ma il fascista si alzò e mi intimò due o tre volte di sputare, e poi a schiaffi me lo fece fare. Sputai per terra il pane e lui con il piede lo schiacciò. Questa fu e resta l’esperienza del mio primo pezzo di pane... Altro che cantare "Faccetta nera"!
Quell’assessora della mia Regione che la canta e se ne vanta, e di cui ha scritto anche Ferdinando Camon, vive nel mondo dei sogni. Io e mia moglie andiamo spesso nelle scuole a parlare: io del fascismo e lei degli ebrei, perché a casa sua hanno salvato metà di una famiglia ebrea, tutte le persone che potevano nascondere nel loro piccolo appartamento: 2 stanze da letto, 3 per 3 metri, e una cucina. L’altra metà di quella famiglia ebrea – un bambino di 8 anni, i nonni paterni e lo zio – andarono invece verso San Donà di Piave e vennero presi. Dopo la Liberazione si venne a sapere che erano stati portati ai forni crematori. Ecco, caro direttore cos’era, il fascismo! Altro che cantare 'Faccetta nera'...
Luigi Bertin, Campolongo Maggiore (Ve)
Grazie, caro signor Bertin, per averci fatto vedere la questione posta dai nostalgici che colorano di rosa e di tricolore il nero opprimente della dittatura fascista con gli occhi saggi di una persona anziana che non ha dimenticato le lezioni di dolore, di amicizia, di arroganza, di dignità e di generosità apprese da bambino. Grazie davvero. (mt)