C’è un proverbio cinese bellissimo, così bello che forse l’ho citato altre volte, e dice. 'Ami tu il lavoro che fai? Non chiedere alla vita felicità più grande'. Amare il lavoro che si fa vuol dire essere orgogliosi di quel lavoro, e in definitiva (faccio un salto logico) amare la vita. Se ami un lavoro, un rapporto di lavoro, ami la sede dove lavori, la gente che c’è: li stimi e li rispetti. E quando te ne vai e li lasci, ti dispiace. Ho sentito Paolo Volponi continuare a parlare bene della Garzanti (non del padrone, Livio) anche dopo esser passato alla Einaudi. A me, che sono sempre rimasto in Garzanti, quella fedeltà della stima faceva piacere. Passavamo insieme, Paolo e io, per via della Spiga, storica sede della Garzanti dei tempi d’oro, e Volponi, che l’aveva appena tradita, chinava la testa e mormorava: «Garzanti / è un passo avanti».
Ma allora, Paolo, perché non sei rimasto? Si stava bene insieme. La dolcezza della fedeltà nel lavoro mi torna in mente oggi, perché c’è un nuovo grande traditore, Cristiano Ronaldo. Adorato, strapagato, osannato, se ne va rapidamente, senza piangere, senza tanti discorsi, sale sul suo aereo privato a Torino e sparisce oltre l’orizzonte. Ivan Zazzaroni, direttore del 'Corriere dello Sport', lo insegue con un rimprovero: «Non se ne sta andando, sta scappando ». Adesso, retrospettivamente, i critici sportivi fanno di lui un ritratto disinnamorato e velenoso: «Lo ammiri come campionissimo, ma non ti piace come uomo», «Si preoccupava soltanto di far gli affari propri ». Sconcerti, critico sportivo del 'Corriere', tenta di andare a fondo: «Non è che lui parta, è qualcuno che non è mai arrivato». Gabriele Romagnoli, che si occupa di sport e di costume ma è un grande narratore (io lo considero una mia scoperta, ma non vorrei che lui si offendesse) dice: «Lo han preso perché volevano la luna, ma era ormai una luna calante, non ha più illuminato nessuno».
E ancora: «Lo han preso per vincere la Champions, ma lui non ha vinto niente, e poi li ha mollati il 27 agosto come cani in autostrada». Mollandoli, ha dedicato loro un saluto su Instagram, un 'Grazzie' con due z. Ha in dispregio anche la nostra lingua. Se il grande Ronaldo disamava il suo lavoro fino a questo punto, allora era infelice: felice è la maestra che, andando in pensione, torna ogni tanto alla scuola dove insegnava, per salutare da lontano i suoi bambini. I bambini la vedono, rispondono ai saluti, e si sentono amati. La professione dove ami quel che fai, anche se ti danno pochi soldi, ha qualcosa di nobile e di sacro, mentre la professione dove ti coprono d’oro, ma tu li lasci insalutati e scappi per i fatti tuoi, ha qualcosa di banale e di volgare.
A me piacerebbe essere ricordato dove lavoro. Ho sempre lavorato per la stessa casa editrice, quando consegni alla stessa azienda, perché li stampi, i libri che scrivi lungo la vita, tu non spartisci con quell’azienda il lavoro, spartisci la vita. Sarebbe bello che l’azienda se ne ricordasse, ma non succede. Mi son chiesto perché. E mi son dato una risposta. Che è questa: Milano. Milano è la città del lavoro, per fortuna che c’è Milano, laboriosa e corretta, ma Milano 'paga' il lavoro, e quando l’ha pagato considera chiuso il rapporto dare-avere. Tu non hai più niente che ti spetti.
C’è una piccola casa editrice della Lettonia, che da anni mi mandava email, in attesa di trovare i soldi per comprare la carta e tradurmi. Finalmente c’è riuscita. Adesso mi manda gli auguri ad ogni compleanno. Per email. Leggo l’email, e con la mano tocco il computer: è un abbraccio. Ronaldo riceveva milioni di messaggi d’affetto, ma li tradisce tutti, prende l’aereo e scappa. Ronaldo era e resta grande. Eppure, come diceva Catullo, lo amiamo ma non possiamo volergli bene.