La rischiosa sfida del Governo gialloverde a Ue e mercati
sabato 20 ottobre 2018

La lettera recapitata dal commissario europeo Moscovici al ministro Tria non usa tanti giri di parole: segnala l’eccezionalità (in negativo) della Manovra italiana per il 2019 parlando di «scostamento senza precedenti nella storia del Patto di stabilità» (1,5% in termini di deficit rapportato al Pil).

Essa ha reso manifesta la volontà del Governo italiano di andare al muro contro muro con l’Europa e i mercati finanziari. Bisogna in primo luogo domandarsi se questa strategia sia foriera di buone cose per il Paese e, in secondo luogo, se "abbiamo il fisico" per portarla avanti e, nel caso le cose andassero male, se abbiamo un "piano B".

Purtroppo la risposta è che il Governo gialloverde non ha né l’uno né l’altro, ed è da dubitare che si stia facendo il bene del Paese. Soltanto pochi economisti possono credere davvero che una Manovra espansiva di questa entità, fatta perlopiù di trasferimenti (reddito di cittadinanza, pensioni, condono fiscale), sia in grado di tramutarsi in una crescita addizionale del Pil pari allo 0,6% rendendo la stessa sostenibile (senza peraltro alcun rientro dal debito pubblico che è rimandato in là negli anni). La manovra potrà avere degli effetti redistributivi, ma non rilancerà la competitività del Paese, la spesa in investimenti e gli incentivi in tal senso sono davvero poca cosa.

La Commissione europea ha dunque buoni argomenti nel non credere alla nostra Manovra, il principale dei quali è che essa non riduce il debito pubblico (che è troppo elevato) e mina la solidità dell’euro. La strategia dell’attuale Governo italiano è molto diversa da quella degli ultimi governi che, seppur pubblicamente denunciavano le presunte politiche di austerità europee, nei fatti passavano il tempo a negoziare con Bruxelles.

Una strategia che ha portato a 30 miliardi di flessibilità aggiuntiva in quattro anni che ha contribuito a rilanciare l’economia italiana, senza contare che il generoso ombrello di Draghi ci ha permesso di finanziarci a condizioni molto favorevoli. A conti fatti l’Europa il più delle volte si è limitata a ricordarci che, avendo un elevato debito pubblico, non siamo in condizioni di fare politiche espansive significative.

Ma queste considerazioni contano poco per i nostri governanti: l’Unione Europea è l’avversario numero uno e, siccome questo establishment sarà battuto politicamente alle prossime elezioni per il Parlamento di Strasburgo, si ritiene di poter provare a forzare la mano, tanto le sanzioni potrebbero anche non arrivare... Una partita rischiosa da cui si può uscire con le ossa rotte. Per il momento la stiamo perdendo in quanto gli altri Governi europei, prendendo sul serio la sfida di quello italiano, hanno deciso di accettare lo scontro bocciando la nostra Manovra. L’obiettivo è di far pagare il conto all’Italia come campione euroscettico. E i nostri presunti alleati "sovranisti" non ci sono stati solidali.

Ma il problema adesso non è questo. Il vero problema è rappresentato dall’avversario numero due: i mercati finanziari. Questi agiscono sulle aspettative, qualche volta hanno l’orizzonte corto e sbagliano. Occorre però smontare l’idea che vi sia un complotto contro l’Italia. Il mercato è fatto di migliaia di operatori sparsi per il mondo che detengono poco meno di un terzo del nostro debito pubblico. Per gli investitori esteri la lettera della Commissione e, tra una settimana, ancor di più il giudizio delle agenzie di rating, sono segnali che il debito pubblico italiano non è sostenibile.

Per questo motivo vendono i titoli italiani facendo innalzare lo spread. A poco serve il richiamo autarchico: le famiglie italiane posseggono appena il 5% del debito pubblico italiano, ce ne vuole per farle tornare a comprare Btp in misura significativa. Quello che è in atto è, dunque, anche uno scontro tra politica e finanza. La politica può averne ragione soltanto se ha buoni argomenti dalla sua (un vero piano di rientro dal debito) e può intimorire i mercati come fece Mario Draghi nel 2012 quando di fronte alla speculazione contro l’euro disse con fermezza: "Io posso anche comprare tutti i titoli di Stato, e così vi romperete le ossa". L’Italia non è in queste condizioni e il "piano B" non esiste.

Gli altri Paesi euroscettici, anche nel caso di un’affermazione alle prossime elezioni, non ci aiuteranno. La ragione è molto semplice: l’Italia, assieme alla Grecia, è praticamente l’unica ad avere un serio problema di debito pubblico, gli altri Paesi o non hanno oltrepassato il livello di guardia o sono sulla via del rientro. Difficile dunque contare su una maggior comprensione a maggio. Il rischio è che a quel punto il "piano B" si tramuti in uno degli unici scenari rimasti: un’uscita dall’euro o una ristrutturazione del debito. Scenari foschi, nei quali in ogni caso il conto più salato alla fine lo pagherebbero i cittadini e le imprese. Davvero un bel capolavoro per il «governo del popolo»...

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