Abbiamo avuto 12 anni per dire «No» ai Mondiali in Qatar... Tanti sono passati da quel folle 2010 in cui i plenipotenziari del calcio, in accordo con i potenti della Terra avevano deciso: i Mondiali di calcio del 2022 si faranno a Doha. Un tackle nel deserto. E adesso, dodici anni dopo, tutti giù dalla palma, e sotto con la febbre a ’90 da boicottaggio. Gli indignati dell’anti- Qatar hanno cominciato ad agitarsi dai fiordi norvegesi scendendo gelidi fino alle piazze tedesche, per arrivare a viale Mazzini, dove perfino Rosario Fiorello ha fischiato un fallo da rigore all’azienda del servizio pubblico televisivo. «200 milioni spesi dalla Rai per un Mondiale nel Qatar dove si calpestano i diritti umani», ha detto tra una gag e l’altra nel suo programma.
Il “Fatto Quotidiano” si allinea al tedesco “Die Zeit” e va all’ammutinamento: per bocca e firma di Paolo Zuliani annuncia che per tutto il mese del Mondiale su quelle colonne travagliate non si leggerà una sola riga dedicata all’evento calcistico di Qatar 2022. Scelta coraggiosa, onorevole e rispettabilissima, ma ormai siamo andati oltre i calci di rigore, non si torna più indietro. Nonostante la più sincera e sensibilissima indignazione internazionale, il Qatar si è messo in tasca, e non può toglierglielo più nessuno, il primo, e si spera ultimo, Mondiale giocato in autunno nella secolare storia del calcio.
Come hanno fatto? Semplice, con il potere unico dell’argent, mettendo in tasca milioni di petrodollari prelevati dal tesoro infinito degli Al-Thani alla corruttibile cricca di Fifa e Uefa che adesso gioca a fare l’indignata. Il bottino è nelle mani della banda del presidente Gianni Infantino. Il degno erede del colonnello Sepp Blatter sullo scranno più alto dell’Onu del pallone. E Infantino non pago di un gigantismo da 32 nazionali in gara in Qatar ha già rilanciato con una Coppa del Mondo a 48 squadre per la prossima edizione del 2026 che si disputerà nel triangolo d’oro di Usa-Canada e Messico. « I’ll see you later, alligator ».
Davvero, è un mondo di caimani questo del calcio, pieno di figuri capaci del miglior pianto del coccodrillo, capaci di gridare «al lupo, al lupo», anzi alle volpi furbissime del deserto, per poi finire lo stesso sotto le tende d’oro degli emiri. Hai voglia i poveri militanti di Amnesty International a denunciare – loro lo fanno da sempre, mica ai tempi supplementari – che il Qatar non ha alcun rispetto dei diritti umani, che è sospettato di finanziare i guerriglieri dell’Isis e che le “morti bianche”, le vittime dei cantieri degli stadi del Mondiale sono molte di più delle 6.500 censite dal britannico “The Guardian”. I “morti da Mondiale” potrebbero essere il doppio o il triplo, che tanto la vita e la dignità dei lavoratori stranieri lì a Doha non conta un centesimo.
Agli emiri interessa solo il dominio planetario dello showbusiness e per allestirlo hanno costruito un circo pallonaro da 300 miliardi di dollari. Quindi lo show si farà eccome, ed è tanto giusto quanto inutile proclamare «niente megaschermi nelle piazze» di Francia o di Spagna per non sentirsi complici con le angherie di questi carovanieri del capitalismo finanziario. Perché quando domani, alle 17 italiane, l’arbitro fischierà il via al match inagurale Qatar-Ecuador, ne siamo certi, il popolo degli indignati si tramuterà in un istante nel popolo degli stadi.
E il tifoso di calcio, miliardi sparsi per il pianeta terra, farà come quando si è accesa la torcia olimpica di Pechino 2006, quando si denunciava il regime in Cina, ma ormai i Giochi erano fatti, e si dovevano giocare. O come al Mundial del ’78, quando i carnefici del generale Videla torturavano i giovani argentini e poi li facevano sparire per sempre gettandoli in mare, ma ci si è entusiasmati lo stesso guardando le partite.
E ora, quando l’Iran scenderà in campo, il boato dei suoi tifosi coprirà le grida strazianti di chi invoca verità e giustizia per le donne e i ragazzi ammazzati dal regime di Teheran? O, speriamo, sarà l’occasione per accendere anche i fari dello stadio sulla ribellione di un popolo alla tirannia ammantata di fondamentalismo religioso? « I francesi che si incazzano», canta Paolo Conte, ma intanto il Qatar, in tempi non sospetti, il primo ponte calcistico l’ha costruito partendo dalla Torre Eiffel, con l’acquisto vantaggioso del Paris Saint Germain (preso per 100 milioni di euro), per arrivare fino ai grattacieli della fantasmagorica Doha. Lo “scandalo Platini”, le consulenze sospette e i maneggi del vecchio colonnello Blatter sono stati archiviati prima del calcio d’inizio dalla sentenza del tribunale di Bellinzona: « Non c’è stata truffa».
E invece noi, gli amanti veri del calcio, ci sentiamo truffati eccome da questo Mondiale farsa che ci obbliga a mandar giù il magone per le morti che abbiamo denunciato in questi anni e i diritti che abbiamo visto compressi. Non metteremo la testa sotto la sabbia del deserto, anzi coglieremo l’occasione per portare ancora alla luce del sole cocente quelle storture. Ma nemmeno vogliamo per questo rinunciare a un mese di passione autentica e iridata che è cominciata in Uruguay, nel 1930, con la prima Coppa Rimet. Doppio fischio: di disapprovazione e di inizio del gioco.