Disuguaglianza e ingiustizie fiscali: alla radice dei mali
martedì 6 settembre 2016
L'appello a una crescita inclusiva e la definizione di una "lista nera" dei paradisi fiscali (con previsione di misure di ritorsione nei loro confronti) sono due segnali incoraggianti nei risultati finali del G20 che la "fase due" della globalizzazione sta forse iniziando.Nella fase uno l’integrazione dei mercati del lavoro e del prodotto ha consentito ad aziende e grande capitale (oltre che di generare valore economico) di creare una perniciosa concorrenza al ribasso tra Stati nazionali. È stata (e, purtroppo, è ancora) una gara a chi offre "di più" in termini di ridotta pressione fiscale e regole abbordabili su costo e dignità del lavoro per convincere le grandi imprese transnazionali a insediarsi e a portare investimenti e occupazione (quale?) sul proprio territorio. L’intimazione dell’Unione Europea alla Apple a pagare 13 miliardi di arretrati di tasse all’Irlanda per le aliquote risibili che configurano di fatto aiuti di Stato e l’annuncio del ricorso dell’Irlanda contro la decisione sono un segnale eclatante delle contraddizioni della "prima fase" della globalizzazione. Quanti danni (e alterazioni delle statistiche sul Pil mentre noi combattiamo per lo zerovirgola) i "semi-paradisi fiscali" di Irlanda e Lussemburgo hanno creato con questa concorrenza al ribasso che sottrae risorse per i beni pubblici (salute e istruzione, in primis) di cui tutti dovremmo fruire? È ora di chiudere questa prima fase a livello mondiale, come ha sottolineato il comunicato finale del G20, e dovremmo iniziare in casa nostra dove sarebbe ora che la Ue adottasse una strategia cooperativa sulla questione della tassazione alle imprese.Non induce a particolare ottimismo il fatto che i proclami di lotta ai paradisi fiscali vanno molto indietro nel tempo, perché da decenni l’Ocse stila la sua "lista nera" e le sue raccomandazioni attraverso il Gruppo di azione finanziaria internazionale (Gafi). Incoraggia, però, il fatto che ultimamente la pressione sia notevolmente aumentata e che, su questo fronte, organizzazioni internazionali, Stati nazionali e società civile viaggino ormai in modo assolutamente concorde a differenza di quanto avviene ad esempio a proposito dei trattati commerciali.I due temi chiave del G20, giustizia fiscale e crescita inclusiva, sembrano molto diversi, ma sono in realtà indissolubilmente legati. Le crescenti diseguaglianze che hanno portato i 62 uomini più ricchi del pianeta ad avere una ricchezza pari a quella della metà più povera (più di 3 miliardi e mezzo di persone), quando solo nel 2010 il numero (anche allora terribilmente basso) era di 388, sono una forma di "inquinamento sociale" che produce danni devastanti in termini di debolezza della domanda interna, conflitti sociali latenti e flussi migratori difficilmente controllabili. Le persone affrontano i disagi e i drammi legati all’abbandono del loro Paese e alla lunga traversata migratoria quando il livello di diseguaglianza tra benessere nella nazione di partenza e benessere atteso nel luogo di destinazione supera livelli di guardia fino a far diventare il "costo di restare" superiore a quello, che sappiamo essere enorme, di mettersi in viaggio. Per un processo di azione e reazione, gli imponenti flussi migratori mettono in moto nei nostri Paesi meccanismi di difesa, soprattutto da parte di quei cittadini e lavoratori che si sentono direttamente in concorrenza con i nuovi arrivati. Proliferano così arroccamenti nazionalistici che avvelenano i rapporti tra i popoli e pregiudicano le possibilità di uno sviluppo cooperativo di economia e società.Le direttrici di azione per mettere a segno progressi su questo importante fronte sono ben note. Una lotta serrata e coordinata a livello istituzionale ai paradisi fiscali per realizzare il famoso assunto di pagare meno/pagare tutti. Che non lo può limitare al solo canone Rai.
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