Gentile direttore,
la difesa dei diritti umani – quei diritti che sono per loro definizione universali, quindi dovrebbero valere per tutti, anche quindi per i profughi, anche per i curdi, i palestinesi, i tibetani, i ceceni, i neri e gli indiani d’America e via elencando – non sono il fine della politica americana, ma un mezzo: si adducono, si invocano, si fanno valere per i nemici, non per gli amici; si pretendono dagli altri non da se stessi. Così si fanno valere per Cuba, imponendo in nome di essi, un blocco economico rovinoso che dura ininterrotto dal 1962, ma non per la Giunta militare dell’Argentina guidata da Jorge Videla, non per la sanguinaria dittatura di Pinochet in Cile, non per quella orribile di Rios Mont in Guatemala, non in Honduras; non per l’Arabia Saudita, non per l’Egitto di al-Sisi, non per la Turchia di Erdogan... E quel che si dice degli Usa vale anche per molti Stati europei, ma potremmo dire tutti: aveva ragione Nehru a dire che i Paesi occidentali «non hanno ideali, ma interessi»; e a questi si sacrificano i diritti umani: con somma e collaudata ipocrisia.
Luigi Fioravanti
Dico e scrivo da parecchi anni che se si intende ottenere davvero un universale rispetto degli autentici diritti umani fondamentali e si comincia a invocarli e a denunciarne le violazioni, poi non si può più smettere. Non ci si può, cioè, dimostrare parziali o incoerenti. È il metro che cerchiamo di usare sempre nelle nostre cronache, e il metro su cui è giusto e inevitabile giudicare l’operato di ogni governo e di ogni istituzione. Occidentale e non solo.Marco Tarquinio