La decisione con cui la Corte suprema del Regno Unito ha annullato la proroga del Parlamento, disposta dalla Regina su proposta del primo ministro Boris Johnson a fine agosto, corrisponde a esigenze di buon senso democratico, ma porta con sé importanti novità sull’equilibrio dei poteri nella più antica Costituzione del mondo.
La prorogation del Parlamento (che ne interrompe l’attività fino alla data in cui sia riconvocato) è un potere fondato sulla prerogativa regia, vale a dire sull’insieme dei poteri rimasti al Sovrano britannico perché mai sottrattigli da una legge del Parlamento. Tali poteri sono esercitati su proposta del premier: una proposta che nel sistema britannico equivale a un vero e proprio potere di decisione, dato che il capo dello Stato (la Regina) adotta gli atti di prerogativa propostigli dal capo del governo. I due più importanti poteri di prerogativa erano sino al 2011 lo scioglimento della Camera e – appunto – la proroga. Dal 2011, con il Fixed Term Parliament Act, il potere di scioglimento è ormai limitato da una legge, che fa però salvo il potere di prorogare il Parlamento.
La proroga del Parlamento, tuttavia, è tradizionalmente usata per organizzare in sessioni il lavoro parlamentare. Quest’anno, invece, la proroga decisa da Johnson mirava a limitare a 2 sole settimane (dopo la ripresa dei lavori parlamentari all’indomani della pausa estiva) il potere delle Camere di pronunciarsi sul modo in cui il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea.
L’obiettivo politico di Johnson era imporre di fatto una Brexit senza accordo con la Ue a un Parlamento che si era più volte espresso contro una uscita non concordata, impedendo alle Camere di esigere un rinvio e un accordo con Bruxelles. Per questo la Corte suprema britannica ha avuto buon gioco a sottolineare che il caso da essa giudicato poneva questioni che sorgono raramente. Essa ha ritenuto che il potere di proroga della Camera non possa essere esercitato qualora esso incida sui princìpi della sovranità del Parlamento (ovvero sul suo potere legislativo supremo) e della responsabilità (del Governo) davanti alla Camera dei Comuni. E ha ritenuto che, nelle specifiche circostanze del caso, tali princìpi fossero stati violati. Il che ci pare piuttosto ovvio: e in questo senso la Corte suprema ha fatto valere alcune esigenze di buon senso democratico.
Su una questione così centrale come il modo in cui il Regno Unito uscirà dalla Ue, la funzione legislativa e di controllo delle Camere non poteva esser messa da parte o ristretta in tempi angusti. La scelta di Boris Johnson era un atto di «vandalismo costituzionale », ha scritto il 'Times': e la Corte suprema ha tutelato la democrazia rappresentativa. Detto tutto ciò, vale forse la pena di spendere una parola sul perché, malgrado tutto, la decisione della Corte suprema sia una innovazione significativa e forse problematica. Nell’invocare i «princìpi costituzionali » della sovranità parlamentare e della responsabilità politica, la Corte suprema ha fatto leva su qualcosa che nel Regno Unito non può essere dato facilmente per scontato, per la banale ragione che non esiste in tale ordinamento una Costituzione scritta.
E gli studiosi, dai tempi di Albert Venn Dicey (1885) hanno sottolineato che mentre il principio della sovranità parlamentare ha natura giuridica (è cioè una regola non scritta, basata sulla common law), quello della responsabilità politica è basato su una convenzione costituzionale, cioè su un tipo di norma che, nell’ordinamento inglese, è ritenuta non giuridica, ma politica e quindi non invocabile in un giudizio davanti a un giudice. Giuridicizzando la responsabilità politica ed elevandola a limite della prerogativa regia, la Corte suprema ha compiuto un passo che potrebbe alterare gli equilibri della democrazia maggioritaria all’inglese e la posizione centrale in essa del primo ministro.
Del resto, la vicenda della Brexit, e prima ancora le riforme costituzionali volute prima da Blair e poi dalla coalizione Cameron- Clegg, hanno messo in evidenza che il venerabile edificio della Costituzione britannica è ormai pieno di crepe, con istituti invecchiati assoggettati negli ultimi venti anni a varie modifiche che, se hanno nell’insieme ridotto l’anima maggioritaria del sistema Westminster, hanno prodotto varie incoerenze. Non ci sarebbe da stupirsi se dopo la Brexit si invocasse Oltremanica una Assemblea costituente, per mettere finalmente per iscritto le regole costituzionali fondamentali su cui si fonda il Regno Unito. Non perché una Costituzione scritta risolva tutti i problemi, ma perché troppe sono le questioni fondamentali sulle quali, anche uscendo dalla Ue, la Gran Bretagna appare in stato confusionale.