Lia Dezman
La frase che lei cita, gentile signora, è effettivamente diventata in qualche modo proverbiale, ma rappresenta – a quanto so – il capovolgimento esatto di tutt’altra affermazione: «Il buon Dio si cela nel dettaglio», la cui paternità è attribuita da taluni allo scrittore Gustave Flaubert («Le bon Dieu est dans le détail») da altri allo storico dell’arte Aby Warburg («Der liebe Gott steckt im Detail») e da altri ancora all’architetto Mies van Der Rohe («God is in the details»). Le varianti non sono indifferenti, e forse quella che a me più piace e convince è proprio quella che ho scritto in italiano e che traduce esattamente i concetti espressi da Warburg. Ma vengo al vero tema che lei propone. E sto al suo gioco, accettando il senso della provocazione. Dico subito che non credo che si possa necessariamente stabilire il «tasso di sincerità e di coerenza» di chiunque a partire dall’auto che usa (tanto più che il rapporto di noi italiani con le quattro ruote non è prevalentemente funzionale, ma emozionale e, spesso, lontano dalla logica...), tuttavia penso anch’io che un uomo pubblico italiano dovrebbe, almeno nell’esercizio delle sue funzioni, sentire il dovere e il piacere di circolare esclusivamente con una macchina italiana. E questo perché ritengo che chi rappresenta e amministra un Paese debba saperlo fare anche preferendo, ogni volta che può, prodotti e mezzi frutto dell’ingegno e del lavoro dei suoi concittadini. È un modo per aiutare materialmente e moralmente il popolo di cui si è parte a stimare se stesso e volersi un po’ più bene. A questo proposito, mi piace sottolineare la bella e ininterrotta tradizione degli ospiti del Quirinale: il capo dello Stato sempre, e da sempre, 'viaggia italiano'. Alte cariche, uomini di governo ed eletti di ogni livello – dal Parlamento nazionale ai Comuni – dovrebbero semplicemente prendere esempio. E, a loro volta, darlo a tutti noi.
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