Caro direttore,
padre Antonio Spadaro, direttore di 'Civiltà Cattolica', ci ha invitato a riflettere, con un saggio pubblicato dalla rivista e anticipato da 'Avvenire', sulle parole-guida che possano rilanciare una politica capace di essere 'popolare'. Anche così, finalmente, si dirada la nebbia attorno a una parola quanto mai abusata e deformata, travolta dall’ondata del 'populismo', termineche ha la stessa radice, ma una ben diversa declinazione politica, etica e civile. Essere popolari significa, e padre Spadaro lo esplicita in modo esemplare, comprendere i bisogni degli ultimi, ascoltare, condividere, 'riconnettersi' con i più distanti da noi, trovare le alleanze e le mediazioni che rendano possibile l’avvicinamento e il raggiungimento degli obiettivi di pace, giustizia e sicurezza sociale che danno sostanza e 'popolarità' alla politica.
Il populismo, al contrario, in molte delle sue varianti, del passato e del presente, si trasforma, nella pratica quotidiana, nell’utilizzare il consenso del popolo a sostegno delle oligarchie e della conservazione dei rapporti di forza e degli equilibri economici e sociali esistenti. Il capo della Casa Bianca Trump e il suo ideologo Bannon ne sono un esempio eclatante e, non a caso, hanno scelto l’Italia come una delle piattaforme ideali per tentare di penetrare in Europa.
La parola 'popolo', per fare un esempio, è stata ed è utilizzata per abbattere la riforma sanitaria voluta dall’allora presidente Obama e sgradita alle assicurazioni private statunitensi, per riproporre i muri dell’odio e del razzismo, per scaricare il disagio sociale dell’elettore americano verso i nuovi 'vagabondi' : gli immigrati, i diversi, le donne che difendono la loro dignità, la libertà di informazione. Il 'populismo' usa il popolo per conservare gli assetti esistenti, in primo luogo quelli economico e sociali. Le diverse versioni offerte da Trump, Putin, Erdogan e dai loro imitatori occidentali, soprattutto in Ungheria e in Italia, confermano questa tendenza e in particolare la ferocia riservata agli 'ultimi degli ultimi': i migranti, utilizzati dai ministri della paura per conquistare consensi nelle fortezze nazionali. Invece di modificare la distribuzione delle ricchezze e avviare la ridistribuzione delle risorse, in sede internazionale e nazionale, si usano le armi dei nuovi strumenti di comunicazione per aizzare le paure, (esemplare in questo senso l’analisi di padre Spadaro), e costruire il consenso sull’ansia e sulla moderna caccia alle streghe e agli untori, che hanno assunto il volto dei migranti, degli emarginati, degli 'scarti umani' per citare Bauman e papa Francesco.
Questo, tuttavia, può avvenire perché , per troppo tempo, le cosiddette élite illuminate hanno tralasciato la frequentazione di parole e di azioni chiave: la compassione, il disagio sociale, la necessità di cambiare i modelli di produzione e di distribuzione, la riduzione della disuguaglianza, le forme della partecipazione e della democrazia, la capacità di intervento delle agenzie internazionali di fronte alle guerre, al terrore, alle emergenze umanitarie. Il fallimento dei grandi progetti internazionali, internazionalisti, universa-listici, nelle diverse accezioni politiche e religiose, ha aperto la strada al grande inganno del populismo e al perpetuarsi delle disuguaglianze, sotto altre forme e altre bandiere. Forse sarebbe stato opportuno riflettere di più e meglio sull’analisi e le proposte che il Papa ha delineato nella Laudato si’, una enciclica più citata che davvero letta e, soprattutto, scarsamente trasformata in quotidiana azione, dentro e fuori la Chiesa. Forse si potrebbe e si dovrebbe ripartire da questa lettura, integrandola con le parole chiave proposte da Spadaro.
Questo possibile itinerario di studio e di azione, di teoria e prassi, binomio indispensabile per qualsiasi progetto politico e soprattutto per uno che ambisca ad essere davvero 'popolare', potrebbe oggi essere completato con le parole chiave usate dal presidente Mattarella e da papa Francesco nei saluti e nelle benedizioni di fine anno. Solidarietà, accoglienza, integrazione, apertura alle differenze, disagio morale e materiale, fratellanza, rifiuto della esclusione sociale, dei muri, del razzismo, sono i valori che hanno accompagnato quelle riflessioni. Del resto questo comune itinerario è descritto nella Costituzione, nella Dottrina sociale della Chiesa, è condiviso da altre tradizioni politiche e culturali, accomuna credenti e non credenti e rende possibile, oserei dire quasi necessaria, una nuova alleanza, un nuovo 'compromesso storico', per citare Enrico Berlinguer, tra chi vuole davvero costruire una azione politica, etica e civile 'popolare' e solidaristica. Le donne e gli uomini che hanno nel cuore e nella mente i 'ponti' del dialogo e dell’incontro tra differenze e diversità, hanno il dovere di provarci, ora e subito, prima che i costruttori dei 'muri' chiudano anche i corridoi della speranza e del riscatto.
Cofondatore di 'Articolo 21', presidente della Fnsi