La relazione figli-genitori nell’insegnamento del Papa
giovedì 20 settembre 2018

La relazione figli-genitori nell’insegnamento del Papa Onora il padre e la madre. La parola del Quarto comandamento risuona da migliaia di anni, ma da altrettanto tempo generazioni di figli si sono domandate perché onorare quei genitori che magari li hanno abbandonati, o maltrattati, o fatti soffrire. “Onora il padre e la madre”, dice il Decalogo, come prescindendo dall’infelicità di certe famiglie di ieri come di oggi.

Onora tuo padre che non ti ha riconosciuto, che picchia tua madre, che se ne è andato? Un simile “onore” potrebbe apparire un’astratta, esteriore formalità. Ma questo onore, cos’è? Il Papa in Udienza ieri ha spiegato che il termine ebraico indica il «peso», la consistenza di una realtà. Non è questione di forme esteriori, ha aggiunto Francesco, «ma di verità». Cioè questo onore ha a che fare con il riconoscimento di un dato oggettivo. Tua madre e tuo padre ti hanno dato la vita.

A prescindere da cosa sia successo poi, l’«onore» che devi loro è legato a questa incontrovertibile verità. Il Quarto comandamento, ha spiegato papa Francesco, «Non parla della bontà dei genitori, non richiede che i padri e le madri siano perfetti. Parla di un atto dei figli, a prescindere dai meriti dei genitori, e dice una cosa straordinaria e liberante: anche se non tutti i genitori sono buoni e non tutte le infanzie sono serene, tutti i figli possono essere felici, perché il raggiungimento di una vita piena e felice dipende dalla giusta riconoscenza verso chi ci ha messo al mondo».

Perché quel comandamento si conclude con una parola ben nota, certo, ai religiosi e ai biblisti, meno alla gente comune e meno ancora ai ragazzi di oggi, una generazione che in ampie proporzioni viene ormai da famiglie divise e sofferenti. Onora il padre e la madre, dunque, si legge nel Deuteronomio, «perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà». Annota Francesco: «La parola “felicità” nel Decalogo compare solo legata alla relazione con i genitori».

Dieci comandamenti, ma, singolare, solo in uno si fa esplicito riferimento alla felicità. Quell’«onore» dovuto riguarda una riconoscenza per il fatto di essere stati dati alla luce, e ha poi a che fare, in ultimo, con la felicità. Anche qui, certo, molti figli potrebbero umanamente recriminare che la vita data, e poi da quei genitori ferita o abbandonata, non è così bella da meritare tanta gratitudine. Spesso chi ne è protagonista trascorre l’esistenza a domandarsi “perché”, perché a me questa famiglia, perché a me, questa infanzia. Ma è una domanda sbagliata. La domanda giusta, ha detto il Papa, non è «perché» ma «per chi» mi è successo questo, e ha spiegato: «In vista di quale opera Dio mi ha forgiato attraverso la mia storia? Qui tutto si rovescia, tutto diventa prezioso, tutto diventa costruttivo». In questo sguardo rovesciato le ferite dei figli possono diventare luoghi fecondi dell’anima. I silenzi e le parole, le assenze, i litigi, tutto ciò che segretamente ha fatto male, e perfino gli abbandoni e le violenze: di tutto questo dovremmo non chiederci più «perché», ma «per chi».

A quale disegno si è stati chiamati dentro alla incapacità o alla fragilità dei padri. Perché l’infanzia, come ha ricordato Francesco, è scritta «con inchiostro indelebile». Non ci si chiede di dimenticare, ma di andare oltre: a cosa serviva la sofferenza attraversata, e a che cosa ci chiama la forma, il “cuore” che con esso ci è stato dato. Dentro a questo sguardo la vita ricevuta è davvero un dono. Dentro a questo sguardo l’onore dovuto ai genitori è anche, ha concluso Francesco, «misericordiosa accoglienza dei loro limiti». (Quasi fossimo noi, ora, madri e padri pietosi, e loro i figli). Quanta libertà e speranza in questa prospettiva.

I cristiani di una certa età vengono da tempi in cui ai bambini al catechismo veniva detto spesso «Onora il padre e la madre», e basta, come dando per scontate famiglie unite e perfette, come non prevedendo le sofferenze e i torti che pure allora c’erano. Oggi, con tanti figli che fin da piccoli vedono la famiglia spezzarsi, e con questa il loro stesso mondo, la “seconda parte” del Quarto comandamento ricordata dal Papa è una parola fondante. Non c’è solo il rancore, la tristezza, la depressione come reazione a certe infanzie, e nemmeno solo le psicoterapie, che analizzano, sezionano i ricordi, ma alla fine non curano la memoria. C’è anche questa domanda inconsueta, capovolta, posta da Francesco. Non più «perché», ma «per chi».

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