lunedì 2 febbraio 2015
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Il buon giorno si vede dal mattino. E il giorno che s’è iniziato con l’elezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella si annuncia davvero buono. Secondo gli auspici che su questa prima pagina avevamo espresso giovedì scorso. E non era affatto scontato.Stavolta, però, a differenza di quanto accadde in modo convulso e squassante due anni fa, potremo conservare buona memoria delle scelte e dei gesti che hanno accompagnato il voto dell’Assemblea dei grandi elettori riunita nell’aula di Montecitorio. Potremo ripensare senza sconcerto e con qualche ammirazione alla messa in gioco di una figura di assoluto spessore morale e di grande rilievo umano e politico, alla rapida rinuncia a giochi equivoci e al coagularsi di una larga maggioranza che – nel «Parlamento impossibile» scaturito dal voto tripolare e sfrangiato del febbraio 2013 – ha sfiorato i due terzi. E potremo tenere a mente la prima e antiretorica dichiarazione del neoeletto: «Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini».Ogni parola in essa pesa, e richiama il tempo complesso – duro eppure promettente – che stiamo vivendo. Ma l’ultima si rivela parola chiave: concittadini. Il presidente Mattarella per prima cosa non ha detto un qualche "grazie" di maniera, ma – da uomo di limpido senso delle istituzioni qual è, da popolare e non da populista, da democratico e non da democritico – ha scelto di rivolgere con felice sobrietà lo sguardo e l’inchino a coloro che progettano, costruiscono, insegnano, intraprendono, amministrano e faticano nell’Italia di oggi. S’è occupato di «rappresentare» – perché questo è il cuore essenziale dell’alto compito che gli è stato affidato – ciò che sono e che sperimentano i cittadini di questo Paese, tutti i cittadini e tutti insieme: concittadini, appunto.È giusto cominciare da qui. Così come è stato giusto, dopo queste "prime parole", che le "seconde parole" del Presidente eletto si siano concentrate sull’«alleanza tra Nazioni e popolo», sull’«unità» necessaria per battere coloro che puntano a incendiare, in Europa e nel mondo, «una nuova stagione di terrore». Parole dette in un inaugurale, emozionato, atto pubblico di omaggio alle vittime della strage nazista delle Fosse Ardeatine: "luogo delle radici" della nostra convivenza nazionale e civile.Le altre parole del nuovo Capo dello Stato – quelle che verranno e quelle che sono già scritte nella sua biografia di raffinato giurista, di politico onesto, di uomo di governo rigoroso, di serio nemico delle mafie, di cattolico limpido – le scopriremo e le riscopriremo poco a poco, ora che i riflettori inevitabili del settennato presidenziale sconfiggeranno la naturale riservatezza di una vita. Una vita segnata anche da profondi dolori, da errori di valutazione e da piccole e grandi sconfitte politiche. Affrontati sempre con tenacia e consapevole senso della speranza, del dovere e della misura. Un tratto molto mattarelliano, ma al tempo stesso capace di accomunarlo ad altre rilevanti figure del Democrazia cristiana (il cattolicesimo democratico è la grande corrente d’impegno civile e politico nella quale Sergio Mattarella si è formato e della quale esprime un esito maturo) e ad alcuni esponenti di spicco delle diverse culture politiche con le quali ha dialogato o alle quali s’è contrapposto con chiarezza e forza, ma sempre senza acrimonia, nell’intelligente e fermo rispetto delle regole democratiche, dei grandi valori fondanti il patto costituzionale, di un profondo e prioritario orientamento al bene comune. Non ultimo, tra questi interlocutori e compagni di strada, il suo predecessore al Quirinale Giorgio Napolitano. E la staffetta tra i due Presidenti – così diversi per storia e per indole – garantisce, in questo fondamentale senso, una fluida continuità. Anche chi non ha votato per Mattarella ne è consapevole. Che lo ammetta o meno. E questo è un bene.P.S. La vicenda dell’elezione del nuovo Presidente ha anche un protagonista politico, un "vincitore" secondo la logica inesorabile dei numeri e del senso degli avvenimenti. Questo vincitore è senza dubbio Matteo Renzi. Il suo metodo, piaccia o meno, ha portato frutto, conducendo un uomo giusto al posto giusto, dando un’immagine degna e incoraggiante del Palazzo della politica. E forse – checché se ne dica – questa avventura a lieto fine ha creato le premesse perché i lavori riformatori nel cantiere di un bipolarismo governante, temperato e maturo procedano più efficacemente. Certo, per le perduranti e paralizzanti divisioni dell’antico centrodestra berlusconiano e per l’autocondanna all’irrilevanza polemica del M5S di Beppe Grillo, per ora sulla scena sembra esserci un partito solo, il Pd del segretario-premier. Ma nella realtà del Paese non è così. E interpretare l’Italia e ridarle piena rappresentanza è un compito che non si potrà delegare solo all’alta e nobile figura di Sergio Mattarella, il benvenuto «Presidente dei cittadini».
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