giovedì 27 ottobre 2016

Città rase al suolo, bambini esanimi, fiumi umani in fuga dalle violenze. Innocenti uccisi nei luoghi di culto, a lavoro, nelle metropolitane, al mercato. Stiamo vivendo un momento storico duro e molto complesso, scandito da guerre, atti di terrorismo, persecuzioni. Si innalzano trincee, muri e barriere. La crisi siriana è certamente l’emblema delle tragedie in atto. È doveroso riconoscere che l’umanità è in pena e che tutto farebbe pensare alla morte del buon senso e del dialogo. Come se il silenzio e la paura avessero vinto. Come se ci arrendessimo alla logica per cui la lingua delle armi abbia un potere maggiore di quello delle parole e, realtà ancor più grave, come se dessimo credito a chi usa il nome di Dio per giustificare e motivare i suoi crimini.


Di fronte a questo scenario impietoso viene spontaneo chiedersi che senso abbia celebrare oggi la quindicesima giornata del dialogo islamo-cristiano. Che spazio possono avere gli uomini e le donne di pace, coloro che vivono e operano per costruire ponti, che hanno il coraggio di denunciare i crimini e le ingiustizie? A uno sguardo distratto potrebbe sembrare che gli unici attori protagonisti della nostra epoca siano i predicatori di odio e i seminatori di violenza, ma così non è. Mai come negli ultimi anni, infatti, si sente con forza il bisogno di dialogare e di ripristinare una scala di valori comuni su cui i cristiani e i musulmani possano lavorare insieme. Il primo punto di questa scala deve necessariamente essere la sacralità della vita umana.
Di fronte alle sofferenze di innocenti uccisi per il proprio nome, il proprio credo, i propri ideali, chi vive di fede non può chiudersi nel dolore, ma ha il dovere pregare e agire per amore della vita e della verità. I credenti non devono diventare pedine nelle mani dei detrattori della pace, né vivere ostaggio delle tirannie e degli estremismi. Non possono esprimersi a loro volta con il linguaggio dell’odio e della paura e devono avere il coraggio di testimoniare.


Questa giornata di dialogo è l’ennesima occasione per aderire all’appello di papa Francesco che ha chiamato i fedeli di tutte le religioni a dichiarare che «uccidere in nome di Dio è satanico». In nome di Dio si può e si deve proteggere la vita, non distruggerla. Dialogare è importante per unire le nostre voci e il nostro impegno. Significa praticare la misericordia a cui è dedicata questa giornata. La misericordia in lingua araba si chiama rahma, parola che deriva dal termine rahm, la cui radice è comune con l’ebraico, letteralmente utero. Il ventre materno è simbolo della misericordia perché scelto da Dio per custodire e far nascere la vita. È a questi concetti che dobbiamo fare appello con tutte le nostre forze per sconfessare chi bestemmia il nome del Creatore per giustificare e inneggiare alla morte.


Il nostro pensiero oggi non può che andare a quelle figure simbolo di pace e coraggio, che in nome dei propri ideali si sono esposte a grandi rischi nella martoriata Siria e non solo. A padre Paolo Dall’Oglio, uomo simbolo del dialogo tra cristiani e musulmani, scomparso in Siria ormai da più di tre anni. A padre Jaques Hammel, figura di apertura e fratellanza, ucciso mentre celebrava la Messa. A Ghiath Matar, giovane emblema della protesta non violenta in Siria, che regalava fiori ai soldati. Alla giovane Rawan Zaitouneh, attivista per i diritti umani, scomparsa in Siria nel 2013. All’imam Safwan Masharqa e al suo amico padre Francis Van Der Lugt di Homs, che fino alla fine hanno assistito i civili assediati e sono stati uccisi per questo. Le loro voci devono risuonare come un inno alla vita e devono indicarci il sentiero su cui continuare a camminare, per impedire l’annichilimento dei nostri cuori.

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