Gentile direttore, qualche settimana fa, assieme ad altri, ho ringraziato lei e 'Avvenire' per la capacità di dare spazio e voce, discreta e rispettosa, alle persone credenti e omosessuali. Allora, nel maggio scorso, la ringraziavo soprattutto per un ampio servizio giornalistico di Luciano Moia. Ora desidero farlo di nuovo per la sua risposta – chiara, rispettosa e, soprattutto, veramente cristiana – alle varie lettere di 'protesta' (da diversi punti di vista) in relazione al vostro semplice articolo su una coppia omosessuale, unita civilmente, che è andata a pregare a Lourdes. Sottolineo queste sue affermazioni: «In particolare, mi chiedo: ma come si fa, in assoluto, e senza sapere nulla della vita di quelle altre persone, a condannare come 'blasfema' un’intenzione di pellegrinaggio a Lourdes per ringraziare di ciò che si è avuto nel corso della propria esistenza? E come si fa a immaginare e porre, noi, limiti all’amore di Maria, madre di Dio e madre nostra? (…) Io a due persone così – che sono credenti, vivono assieme da oltre mezzo secolo e liberamente si misurano con l’esigente via che la Chiesa (CCC 2359) indica agli omosessuali – auguro ogni bene e dedico a mia volta una preghiera». Insomma, ancora una volta mi trovo a ringraziarla per queste scelte, e chiedo ad 'Avvenire' di non distogliere l’attenzione anche da queste realtà di fede cristiana e di ricerca di Dio. Ritengo sia molto importante dare voce a una parte del mondo omosessuale (se così possiamo chiamarlo) a cui nessuno ordinariamente dà voce: le persone che cercano di vivere nella fede la loro condizione, sia nella castità sia nella vita di coppia. Chiedono comprensione e ascolto da parte della Chiesa, che considerano come Madre, perché ritengono che la loro esperienza di fede e di amore – per quanto complessa e di 'frontiera' – abbia qualcosa da dire e da condividere con la vita di fede delle nostre comunità cristiane.
p. Pino Piva sj
La ringrazio anch’io, gentile e caro padre Pino, prima di tutto per la sua azione pastorale e poi, naturalmente, per questa cordiale sottolineatura del nostro lavoro d’informazione anche sulla 'periferia' ecclesiale abitata da persone credenti e omosessuali. Un lavoro, un approfondimento di temi, problemi, percorsi e impegni che non è cominciato – come i nostri lettori sanno – nello scorso maggio, ma già da qualche anno anche se sporadicamente. Infatti – non ho difficoltà a dirlo – è stata la preparazione e la celebrazione dei due 'Sinodi sulla famiglia', che ha stimolato la nostra attenzione pure verso questi cammini di fede e noi abbiamo dedicato spazio con più frequenza alla domanda di Dio vissuta da fratelli e sorelle che vivono questa specifica condizione e si misurano – come ho scritto domenica 4 settembre nel passaggio che anche lei, caro padre, cita – «con l’esigente via che la Chiesa (CCC 2359) indica agli omosessuali». Spazio alla domanda e spazio alle risposte, non sempre semplici, ma sempre importanti, che germinano in diverse comunità cristiane. Perché definisco «esigente» la proposta cattolica? È utile rileggere e non solo richiamare quel preciso punto del Catechismo della Chiesa cattolica che avevo evocato: «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana». Punto che è preceduto da quello (2358) in cui ai credenti si dice di «accogliere» gay e lesbiche che hanno incontrato o cercano Cristo «con rispetto, compassione, delicatezza» ed evitando «ogni marchio di ingiusta discriminazione». Rimarco ancora una volta che la «compassione» (letteralmente il sentire insieme, quasi immedesimandosi con un’altra persona) porta di slancio oltre il puro e semplice rispetto, crea le premesse per la condivisione credente di cui lei, padre, parla ed è per ciascuno di noi una impegnativa scuola di umanità e di spiritualità. Personalmente – conosco i miei limiti – chiedo spesso a Dio di essere davvero e serenamente capace di un sentimento così buono e bello, e spero sempre di esserne meritevole.