La disunione europea rischia di esaltare il "bullismo" del sultano di Ankara. È questo il dato più evidente che emerge dalla querelle sempre più furibonda che oppone, innanzitutto, l’Olanda alla Turchia.
Il punto del contendere è noto. Da un lato il presidente turco rivendica il diritto dei suoi ministri a far campagna elettorale presso le folte comunità di emigrati turchi in Europa. La speranza è quella di raccogliere all’estero quei voti che ancora gli mancano per vincere il prossimo referendum sulla riforma costituzionale, da lui fortissimamente voluto per completare il processo di involuzione autoritaria della Repubblica turca. Dall’altro le autorità olandesi temono che questo tipo di attività possa turbare la campagna elettorale olandese, già surriscaldata proprio dai temi della forte presenza dei musulmani nella società olandese e dalle polemiche sulle loro capacità di integrarsi effettivamente. Proprio il fatto che una parte rilevante dei turchi cui intendevano rivolgersi i ministri di Erdogan possiedano anche un passaporto olandese aggiunge un ulteriore elemento di complessità a tutta la vicenda.
Esiste il legittimo timore che, proprio in virtù dei suoi contenuti islamisti e autoritari, la riforma possa concorrere ad alimentare nei cittadini turco-olandesi una cultura politica sempre più aliena rispetto ai valori di libertà e tolleranza tipica dell’Olanda. In ogni caso è concreto il rischio che il dibattito politico e il clima dello scontro elettorale si surriscaldino proprio a ridosso del voto e che la campagna elettorale olandese possa essere influenzata da quella turca. In ultima analisi gli olandesi non intendono ammettere interferenze nella propria vita politica democratica.
Da qui è derivata l’irrituale decisione di vietare il diritto di atterraggio all’aereo che doveva condurre a Rotterdam il ministro degli Esteri turco, così come quella di riaccompagnare alla frontiera tedesca la ministra della Famiglia di Ankara. Decisioni irrituale abbiamo detto: che peraltro facevano seguito all’arroganza e all’ostinazione con la questione da parte turca si è perseguita la strada della provocazione e dell’incidente diplomatico. La controprova della personale volontà turca di cercare la gazzarra a tutti i costi è nelle inaccettabili parole proferite da Erdogan, che ha definito la coraggiosa Olanda un «residuo del nazismo», dimostrando lo stesso amore per la storia di Ahmadinejad (il presidente iraniano che represse nel sangue l’onda verde) quando negava l’Olocausto.
Come ha reagito l’Europa a un attacco a uno Stato che è tra i suoi "padri fondatori"? Con imbarazzo a dir poco. Invece di sostenere la richiesta di scuse per l’inqualificabile comportamento della Turchia, ha nicchiato. Ora sia chiara una cosa. Si possono avere opinioni diverse sulla opportunità politica della decisione delle autorità olandesi. Ma nessuna defezione è possibile rispetto al principio di solidarietà di fronte alle accuse infamanti che l’Olanda ha ricevuto. Ognuno invece ha pensato al suo "particulare": a cominciare dalla Germania di Angela Merkel che, terrorizzata dall’eventualità che Ankara denunci l’accordo blocca migranti, ha steccato l’ennesimo esame di maturità da leader della nuova Europa. Non portando a casa nulla, tra l’altro, dato che già ieri pomeriggio il governo turco faceva sapere di voler rivedere (sospendere?) Il medesimo accordo che tanto sta a cuore a Berlino.
Va benissimo la ricerca del dialogo con un vicino di peso come la Turchia. Ma questo non può e non deve significare la timidezza rispetto alle pose da macho del suo presidente. Non pago degli insulti, Erdogan è passato a minacciare di far pagare al l’Olanda un caro prezzo per l’affondo subito. Qualcosa a metà tra il bar sport e il ben più preoccupante slogan degli anni di piombo: "Pagherete caro, pagherete tutto!". Questo è intollerabile. E non deve essere tollerato neppure in ossequio a una Realpolitik che teme di "perdere la Turchia a favore della Russia". Se non ve ne siete ancora accorti, è già successo.