martedì 17 ottobre 2023
Il grande poeta insiste sul ruolo del volere nel raggiungere i propri obiettivi. «Ma non è vero Non basta sapere che una cosa in teoria è giusta, è necessaria la passione che ci accende e spinge»
Andrea del Castagno, «Francesco Petrarca», particolare del «Ciclo degli uomini e donne illustri», affresco datato 1450, conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze

Andrea del Castagno, «Francesco Petrarca», particolare del «Ciclo degli uomini e donne illustri», affresco datato 1450, conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze - .

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Ho sempre adorato Francesco Petrarca: mi ha conquistato fin dalla prima volta in cui mi sono imbattuto nei suoi versi. Quel suo dissidio interiore è il mio, quella sua tensione spirituale che fa continuamente i conti con le sue debolezze è la mia; forse è un po’ quella di tutti noi. Per questo in classe dedico diverse ore alla lettura dei testi di Petrarca, soprattutto alle poesie del Canzoniere. Dedico però anche un paio di lezioni agli altri suoi componimenti, tra cui il Secretum.

Proprio mentre presentavo il Secretum, Elia, un allievo di terza superiore, ha distrutto Petrarca in un solo secondo. Nel Secretum Petrarca immagina di incontrare sant’Agostino, che, seppur vissuto molti secoli prima, l’autore considera una sua guida. Nel dialogo che si sviluppa tra i due emerge prepotentemente la crisi spirituale di Francesco. « L’opera è divisa in tre libri » , ho spiegato quel giorno alla classe. « Nel primo, Agostino rimprovera Francesco per la debolezza della sua volontà, che gli impedisce di mettere in pratica le sue aspirazioni a una vita più virtuosa. Senza volontà, infatti, ogni proposito, seppur buono, è velleitario».

E qui, dal fondo della classe, Elia mi ha interrotto. « Petrarca dice cazzate!> »: un’esclamazione di tre parole per spazzare via uno dei miei autori preferiti. Ho fissato Elia “con occhi di bragia”, per citare il Sommo Poeta (che, peraltro, a Petrarca non andava a genio, ma questa è un’altra storia). Elia ha sostenuto il mio sguardo. “Con tutto il rispetto, eh, prof ” ha aggiunto imbarazzato: si era reso conto benissimo che gli era sfuggita un’espressione scomposta, per usare un eufemismo. Ho capito che non mi stava provocando, che voleva solo dire la sua. Era un mezzo miracolo, perché, fino a quel momento, Elia non era mai intervenuto in una lezione di Italiano.

Era un tipo simpatico, sorridente, benvoluto dai compagni, pronto alla battuta anche con me e con gli altri insegnanti all’intervallo o davanti a scuola. Ma, durante le lezioni, Elia si trasformava in un altro personaggio: assumeva un’espressione di annoiata sufficienza, appoggiava la testa improvvisamente pensante sulle mani, lottava con le palpebre che tendevano a chiudersi. A casa studiava pochissimo e consegnava sempre elaborati striminziti, sempre in ritardo. Insomma, era un maestro della mancanza di volontà, almeno dal mio punto di vista. Forse per questo il rimprovero di Agostino a Francesco lo aveva colpito tanto da spingerlo a intervenire.

Ho colto la palla al balzo: « Perché la pensi così? Cosa non ti convince? ». « Prof, Petrarca sbaglia a far dire a sant’Agostino che per raggiungere i propri obiettivi serve la volontà. La volontà non basta per niente. Nessuno si attiva solo per la volontà. Io no di certo. Non accetto la fatica solo perché so che una cosa in teoria è giusta e allora, razionalmente, decido di volerla. Serve ben altro». « E cosa serve? » , gli ho chiesto.

Mi ha risposto senza esitare: « Il desiderio, prof. Serve il desiderio. Uno ce la mette tutta se davvero gli si accende il desiderio per qualcosa. Guardi me: non mi interessa studiare, lo faccio poco e male. Eppure so razionalmente che dovrei impegnarmi di più, che potrebbe essermi utile, che eviterei le lamentele dei miei genitori e vivrei meglio. Ma niente, non ce la faccio: non mi si accende il desiderio, sento che quello che dovrei studiare non mi riguarda, non tocca la mia vita. La musica, invece...».

Così Elia ha cominciato a raccontare dalla sua passione per la musica. Poi, visto che era suonata la campanella dell’intervallo, si è avvicinato alla cattedra e ha continuato a parlarmene. Ho scoperto un Elia diverso, con una parlantina inattesa, con gli occhi accesi da un fuoco che non immaginavo potesse esserci. Suonava tre strumenti. Componeva canzoni melodiche, dolcissime, che cantava con una voce acuta molto intonata. Me ne ha fatte ascoltare un paio: mi hanno commosso.

Quel pomeriggio ho ripensato a quanto successo in classe. Forse Elia aveva ragione; forse anche più del mio amato Petrarca. Le cose che danno sapore alla vita non sono astratti doveri, imperativi categorici disincarnati, obiettivi da raggiungere perché sappiamo freddamente che è giusto. Ciò che spinge a mettersi davvero in gioco è il desiderio, quella parola bellissima la cui etimologia rimanda alle stelle, alla loro luce che irresistibilmente attrae. Se un desiderio è autentico, se intuiamo che in esso si nasconde qualcosa di grande, la passione si accende, ci rende disposti a sopportare qualsiasi fatica. Per questo la scuola dovrebbe accendere desideri più che imporre aridi doveri. Tra i banchi, ogni studente dovrebbe essere stimolato a scoprire ciò che più profondamente desidera, perché il desiderio è la via per realizzare se stessi.

Nei giorni successivi, Elia mi ha regalato ancora qualcosa. Riprendendo il discorso sulla musica, Elia mi ha raccontato della gioia che provava quando altre persone ascoltavano le sue canzoni e ne rimanevano colpite. Non era una gioia narcisistica, ma la felicità di aver regalato qualcosa di bello agli altri. Elia mi ha ricordato così che i desideri autentici riguardano sempre gli altri, sono sempre una forma di dono, un modo per dare il proprio contributo al mondo. Mi ha ricordato che le altre persone contano sempre di più dei traguardi raggiunti.

È proprio quello che sostiene Laura, una meravigliosa ex allieva ora diventata prof di Italiano alle medie. Alla fine dell’anno scolastico, Laura mi ha scritto uno dei messaggi più belli che, da prof, abbia mai ricevuto. Diceva così: «Vedo tra i ragazzi delle medie tali potenzialità che mi sono buttata a capofitto nell’insegnamento. Qualche risultato si vede ed è un’enorme soddisfazione. È prezioso pensare di poterli affiancare per un po’ in un’età così delicata e poi, dopo la terza, vederli tornare, contenti del futuro che si sono scelti.

Forse quando ho deciso di seguire le tue orme mettevo al centro la materia in sé, ma adesso mi rendo conto di quanto sia la materia umana il vero fulcro e il vero senso del nostro lavoro. Insegnare è un privilegio, me ne rendo conto ogni giorno. Sono fiera di aver fatto questa scelta di vita: sono felice del mio percorso, di tutti i giorni facili e di quelli difficili. Ho promesso a me stessa di mettercela tutta: provo a rinnovare questa promessa ogni giorno, per le classi che incontrerò».

L’insegnamento è promessa, impegno. L’insegnamento è anche sforzo della volontà, è anche fatica. Ma è una fatica che si accetta volentieri, se ci si appassiona prima di tutto alla materia umana, mettendosi in gioco nelle relazioni: solo così si scopre che anche questa fatica, paradossalmente, è un privilegio. Bisogna desiderare di essere dentro le vite di coloro che incontriamo per accompagnarli meglio che possiamo. Bisogna, insomma, ricordare che la materia in sé è al servizio della materia umana. Bisogna amare la materia umana più che la materia in sé.

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