Una manifestazione del Forum delle famiglie a Roma - Siciliani
Quando è stato introdotto l’assegno unico e universale, nel marzo 2022, molti hanno notato che la vera rivoluzione consisteva nell’aver fatto ordine in un sistema di sostegni alle famiglie fino a quel momento piuttosto confuso, anche se è stato chiaro da subito che ci sarebbero voluti ulteriori interventi per rendere più efficiente la nuova misura. Pochi avrebbero però immaginato che nel giro di un paio d’anni emergessero così tante criticità da spingere qualcuno a pensare che, forse, come capita di dire, “si stava meglio quando si stava peggio”. In realtà nessuno ha ancora avuto l’ardire di esprimersi in questi termini, ma a giudicare dagli argomenti del dibattito è possibile che presto la fatidica frase venga pronunciata.
Uno degli argomenti critici sollevati di recente riguarda l’impatto che l’Assegno unico ha sull’Isee. Il contributo economico per i figli, infatti, facendo salire il reddito di una famiglia, può ridurre o far venir meno altre agevolazioni che sono collegate alla presentazione della dichiarazione Isee, come il bonus nido, gli sconti alla mensa scolastica, il bonus bollette, il bonus psicologo, e via dicendo.
“Avvenire” ha segnalato più volte il problema, riportando le posizioni del Forum delle Famiglie e dell’Associazione nazionale famiglie numerose. Di recente l’onorevole pd Graziano Delrio, uno dei “padri” dell’Assegno unico, ha presentato un’interrogazione in merito, e il governo ha risposto che la revisione dell’Isee è al centro dei lavori del tavolo tecnico che coinvolge vari ministeri.
La situazione, se ci si pensa bene, è paradossale: un aiuto economico ne fa perdere altri. In realtà con gli assegni familiari avveniva lo stesso, ma il problema si notava meno perché erano di importo più basso, mentre oggi l’Auu si fa sentire maggiormente dato che ha incorporato anche il valore delle vecchie detrazioni fiscali. Un esempio? Con 3 figli, e circa 200 euro al mese a figlio per chi ha un Isee inferiore ai 17mila euro, il “reddito” annuo può salire di quasi 8.500 euro.
Lo stesso meccanismo si ripropone con il “bonus mamma”, che trattandosi di un taglio dei contributi sociali fa salire lo stipendio mensile, e dunque, come un qualunque altro aumento di stipendio, anche il valore della dichiarazione Isee oltre all’imponibile Irpef.
Questa sorta di cortocircuito nei sostegni alle famiglie, che invita giustamente a immaginare una serie di correttivi, sta però portando alla luce con una certa evidenza un problema del sistema italiano di aiuti alle famiglie di cui non si parla mai abbastanza: il fatto che a fronte di aumenti modesti del reddito si perdano una valanga di vantaggi.
Il paradosso, in effetti, riguarda il fatto che l’importo generoso dell’Assegno unico per i redditi più bassi sta portando molti nuclei familiari, in particolare quelli con più figli, a rientrare nella definizione di “ceto medio”, e dunque a essere trattati di conseguenza. Facendo scoprire, così, come sia facile essere considerati “ricchi” da un sistema di misure che non ha un’impronta natalista, ma è di fatto una forma di redistribuzione molto, ma molto, orientata verso il basso. Le criticità che stanno emergendo tra Assegno e Isee sono tutte riconducibili alla mancanza di una componente fondamentale delle politiche per la natalità: l’universalità dei sostegni. A ogni bonus, cioè, come a ogni aumento in busta paga, si deve fare i conti con una soglia o una barriera che fa perdere benefici anche minimi. Lo sanno bene tante famiglie, specialmente quelle che risiedono dove il costo della vita è più alto, e lo sanno ancora meglio gli evasori fiscali.
Da un lato, dunque, ci si potrebbe domandare, in termini di equità orizzontale, se per ottenere uno “sconto” sull’Isee abbia senso fare distinzione tra un bonus elargito da un’azienda in busta paga e uno pagato dall’Inps direttamente sul conto in banca. Dall’altro questa vicenda offre anche l’occasione per interrogarsi sul livello degli interventi necessari a correggere le criticità. Quello dell’Isee è un cantiere che andrebbe aperto in modo drastico, come chiede il Forum da tempo, a partire dalla revisione dei coefficienti relativi al “peso” dei figli. Ma la vera questione di fondo è se abbia senso continuare a intervenire chirurgicamente in un sistema di sostegni che rivela limiti e contraddizioni a ogni modifica, o se non convenga piuttosto valutare una riforma nella direzione della massima semplificazione. Imodelli cui guardare potrebbero essere la Germania o la Francia. O un percorso che si reinserisca nel solco di quell’idea iniziale e illuminata che aveva spinto a immaginare un assegno “unico” e “universale”. Se la necessità è passare da un sistema di sostegni a chi ha già figli a uno che favorisca anche la natalità, forse si dovrebbe riconoscere l’importanza di poter offrire misure semplici, chiare, comprensibili a tutti, e con un impianto non così selettivo, progressivo, e penalizzante, come è oggi.