Il mancato duello in tv, sulla Rai, fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, al di là della suggestione tramontata del faccia a faccia fra due leader donne, sarebbe stato anche un festival delle contraddizioni.
In primo luogo colpisce che ad affossarlo, in nome della par condicio, sia stata proprio quell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) che, al di là del ruolo istituzionale, è anch’essa un’emanazione del sistema partitico che da sempre ha lottizzato la tv pubblica, perpetuando uno schema ormai logoro davanti alla prepotente ascesa dei nuovi media.
È a essa che si era rivolto il M5s tramite Barbara Floridia, presidente della Vigilanza Rai, su evidente iniziativa trasmessa da Giuseppe Conte che a suo tempo, nel 2020, fece nominare Giacomo Lasorella proprio a presidente dell’Agcom e che sin dall’inizio si era prefisso di far fallire questa sfida.
Un’altra crepa nel “campo largo” (o in quel che resta), parallela a quella nel centrodestra: tra le liste contrarie c’è, infatti, anche Forza Italia, da sempre favorevole a un format di confronto fra tutti, “all’americana”. Non meno degne di rilievo, in seconda battuta, sono tuttavia le incongruenze in cui è incappata la segretaria del Pd.
Meloni - Schlein - ANSA
Schlein ha fortemente inseguito questa sfida, forse più di Meloni (anche se, a dire il vero, non per forza sul mezzo tv), nella convinzione di trarne una legittimazione politica come autentica leader del fronte delle opposizioni e di rosicchiare qualche vantaggio in termini di voti. Per farlo, aveva detto sì alla Rai come sede – pur sostenendo che di fatto era come «giocare fuori casa», avanzando così pesanti illazioni sulla parzialità attuale della tv di Stato –, ma soprattutto aveva accettato di dribblare a sole due settimane dal voto europeo quelle regole di tutela delle minoranze, la base della par condicio, che pur dovrebbero stare sommamente a cuore alla segretaria del Partito che di nome fa democratico.
Una scelta poco comprensibile anche ricordando che lo stesso Bruno Vespa, nell’autocandidatura a “gran cerimoniere”, aveva sostenuto a febbraio come l’ultima data utile per la sfida in Rai potesse cadere a inizio aprile, prima cioè dell’applicazione delle regole elettorali. Questo passaggio si salda a un’altra considerazione di natura politica: cercando il confronto, di fatto Schlein accettava pure la logica di quel premierato (basato su una presunta bipolarizzazione dello schema politico) che i Dem dicono di voler contestare fortemente. Un cortocircuito difficile da spiegare agli elettori.
Per queste ragioni, a voler pensar male, si potrebbe quasi ipotizzare un “trabocchetto” orchestrato dalla premier Meloni... Una sensazione acuita dal fatto che la leader di Fdi, ieri, si è prontamente sfilata dalle ipotesi alternative, anche quella fra tutti i leader propugnata invece dai 5stelle. Ci sono poi altre valutazioni da fare. Come quella che, per paradosso, si sarebbero trovate a confrontarsi sull’Europa due leader le quali, per loro stessa ammissione, al Parlamento Europeo non hanno intenzione di andarci, ma che si sono candidate solo per tramutare la contesa continentale nel “primo tempo” di una partita politica domestica. Forse gli stessi temi europei sarebbero rimasti sullo sfondo, e del resto lo sono stati abbastanza, finora, in questa campagna elettorale. Rinnovando, in termini generali, quella mancanza d’attenzione ai grandi dossier europei che spesso ci vede in ritardo rispetto ai partner dell’Unione.
Rimane infine da chiedersi quale rilevanza avrebbe avuto nella realtà il duello tv, il cui peso specifico sull’opinione pubblica italiana – certamente anche per la mancanza di abitudine che c’è fra i cittadini elettori – è inferiore a quello delle analoghe sfide vissute negli Usa o in altri Stati. Una vicenda mal gestita, insomma, coronata da una conclusione rivelatrice di quanto, ancora una volta, il Paese sia chiamato a fare passi in avanti per una democrazia pienamente matura.