venerdì 6 settembre 2013
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«L’invidia distrugge e uccide», dice il Papa, e ha infinitamente ragione: tutti noi lo sperimentiamo ogni giorno nella carriera, nel lavoro, nella vita. Non c’è musicista che, lavorando accanto a Mozart, non si comporti come Salieri. Ci sono critici letterari che, incapaci di scrivere un libro (qualcuno ci ha anche provato), non dedichi la vita a distruggere i libri altrui. Il meccanismo è semplice: abbassando gli altri, innalzo me stesso. E se non scrivo è perché il livello dei libri scritti nell’epoca in cui sono condannato a vivere è così basso e meschino che non voglio mettermi in contatto, per non sporcarmi. L’invidia fa dire sciocchezze.Moravia su Hemingway: «Niente, e così sia». Perché niente? Perché Hemingway aveva vinto il Nobel, e Moravia no. Moravia può essere un grande, ma quel giudizio sbagliato, e gli altri suoi giudizi sbagliati, lo rimpiccioliscono. Senza quelle manifestazioni d’invidia sarebbe meno piccolo. Pasolini scrisse una famosa poesia intitolata Il Pci ai giovani!, in cui negli scontri a sprangate e manganellate tra studenti e poliziotti si schierava con i poliziotti, vera incarnazione del proletariato. Per mesi non si parlò d’altro, solo del rapporto di Pasolini con i giovani. Franco Fortini, che su quel rapporto aveva costruito il suo ruolo magisteriale, sparò la sua cannonata d’invidia: «La poesia di Pasolini è una cartina acchiappa-mosche, ora che le mosche sono acchiappate possiamo buttarla via». L’invidia chiude il cervello, ci rende mediocri. Un film è bello? Il regista di un film malriuscito ne parla subito male, ma anche i critici suoi amici ne parlano male. Finché è aperto il festival di Venezia, leggiamo ogni giorno 4-5 recensioni a film, e dalle parole che leggiamo possiamo spesso dedurre il grado di amicizia o inimicizia tra critico e regista, critico e attori. Che tipo d’invidia è questa? Esattamente quella di cui parla il Papa: l’invidia distruttiva, di chi, non avendo, vuole che neanche gli altri abbiano. Come vivono questi invidiosi, e come si vive in loro compagnia? Malissimo. Se leggono un bel libro, lo mediocrizzano, se vedono un bel film, lo distruggono. Io mi sono turbato vedendo The Tree of Life, del resto Palma d’Oro a Cannes. Un grande interrogativo sul rapporto tra noi e la nostra origine e la nostra fine. Il culmine è a metà, la morte del figlio giovanissimo: lì scatta la domanda di Giobbe, «Chi siamo noi per Te?». Il regista salta più volte all’indietro, verso l’attimo della creazione, tenta anche di descriverla, il Cosmo che esce dal Caos, tra galassie in fiamme e in fuga, mostri marini, corpi celesti. Ho un amico che scrive di cinema, «Che cosa ne pensi?», gli chiedo, e lui: «Due ore di meduse». Ma vedendo soltanto meduse, non si è rovinato il film? E continuando per tutta la vita, non si rovina la vita? Salieri non si è rovinato la collocazione nella storia per l’invidia? L’invidioso, oltre a rovinare la vita degli altri, non rovina anche la propria? L’invito del Papa a non distruggere gli altri con l’invidia non è anche un invito a non distruggersi? Sì, certamente, perché ridurre tutto alla mediocrità rende mediocre la nostra vita. La nostra città, la nostra università, il nostro giornale, il nostro editore, il nostro ufficio. Togliendo il senso a quel che fanno i nostri amici intorno a noi, togliamo il senso a noi stessi. Dante si pone il problema: i beati del grado più basso sono invidiosi del grado più alto? No, risponde lo spirito interrogato, perché crediamo in quest’ordine e in Chi l’ha voluto: «Nella sua voluntade è nostra pace». Ai miei amici scrittori dico: ricordatevi l’insegnamento di Borges, scrivere tanti capolavori è una disgrazia, la storia vi pianterà i fari addosso, scoprirà i vostri vizi, le debolezze, le indegnità, l’ideale è indovinare un’opera e basta. Sarete un «minore interessante». Lasciate perdere l’invidia che vi porta a distruggere gli altri, cercate invece di combinare qualcosa anche voi.
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