«Lampedusa scoppia di nuovo», titolavano ieri tg, siti web e agenzie di stampa, riportando in primo piano – dopo giorni in cui la crisi di governo aveva occupato gran parte delle prime pagine – la tragedia dei viaggi della speranza di profughi e migranti.
Cosa sta succedendo? Niente di più e niente di meno di quello che accade ogni estate da tre lustri, con una breve interruzione nella prima fase della pandemia. Col bel tempo, le partenze dalle coste africane si intensificano e Lampedusa è la prima terraferma che gli scafi, stracarichi di persone provate dall’arsura e dalla debolezza, si trovano davanti. Così, nell’ultimo weekend si sono registrate 31 operazioni di soccorso in mare, facendo impennare il numero degli ospiti del centro d’accoglienza di Lampedusa a oltre 1.600, a fronte di 350 posti disponibili sulla carta. Mentre leggete queste righe, la macchina operativa del Viminale si è attivata per svuotarlo, trasferendo le persone là accolte in condizioni miserevoli in altri centri siciliani. Ma è probabile che nei prossimi giorni la situazione di crisi si riproponga e che altri uomini, donne e bambini salvati dal mare vengano affidati ad altri centri italiani. Un impegno che al momento il nostro Paese continua a portare sulle spalle quasi interamente.
Eppure, chi legge Avvenire ricorderà la notizia, a metà giugno, di un’intesa raggiunta in Lussemburgo dal Consiglio Affari Interni dell’Unione Europea su un pacchetto attuativo in materia di migrazione e asilo, che comprendeva un meccanismo di solidarietà per aiutare gli Stati membri di primo ingresso. Un passo avanti che, aveva commentato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, va in direzione di una gestione europea condivisa dei flussi migratori, «ispirata a principi di solidarietà e di responsabilità» verso le persone e gli Stati in prima linea sulla rotte marine del Mediterraneo e dell’Atlantico.
Come funziona quell’intesa sul piano operativo? Si basa sull’assicurazione di quote adeguate di ricollocazione, manifestata da 21 Stati membri.
Diecimila persone, è la somma della prima tranche di posti stabiliti, in cui sono inclusi eventuali profughi, ma anche – ed è un fatto nuovo – 'migranti economici'. In concreto, tuttavia, quanti ne sono stati ricollocati in questo mese e mezzo? Ancora nessuno. Da luglio la piattaforma progettata per redistribuirli è operativa, coordinata dalla presidenza del Consiglio europeo e dalla Commissione e le disponibilità offerte sono già arrivate – ci viene spiegato dall’Interno – a quota 9mila.
Tuttavia, e questo è il primo nodo, le procedure burocratiche richiedono tempo: una delegazione dello Stato che accoglie deve recarsi sul posto di arrivo e intervistare i migranti, per poi dare l’ok. Nelle prossime ore un pool francese, ultimati i colloqui, dovrebbe farsi carico dei primi esseri umani salvati in mare. Ma nel frattempo? Dati alla mano, dall’inizio dell’anno sono 36.773 le persone approdate nel nostro Paese, 9mila in più dello stesso periodo del 2021. E il ritmo degli arrivi degli ultimi giorni fa pronosticare un ulteriore aumento dei flussi.
Le intese vanno bene (e quella sulla redistribuzione raggiunta in Lussemburgo pare innovativa e più condivisa, rispetto a quella di Malta del 2019, che pure aveva redistribuito 1.200 profughi, interrompendosi a causa della pandemia), ma perché siano davvero efficaci, debbono prevedere meccanismi tempestivi e semplici da attuare, per essere d’aiuto allo Stato membro in difficoltà (oggi è l’Italia, domani può toccare alla Spagna o ad altri) mentre l’emergenza è in atto o immediatamente dopo.
Altrimenti, il rischio è che le ricorrenti immagini di Lampedusa (o Roccella, o altre località) «al collasso» finiscano ogni volta per fornire benzina agli slogan di chi alimenta, con la falsa retorica dell’«invasione» (che non c’è), propagande odiose. Non per caso, leader politici nazionali stanno programmando visite nell’isoletta siciliana. Se davvero le istituzioni della Ue e quanti le governano vogliono contenere il crescere dei populismi, è tempo di dare rapido seguito a intese come quella in Lussemburgo. Anzi sarebbe saggio estendere la direttiva riadattata per i profughi ucraini a chi, da altre terre, fugge da analoghe situazioni di conflitto o calamità: nessuno di loro dev’essere inchiodato nel Paese di primo ingresso. Servono meccanismi semplici, chiari e funzionanti per gestire, e non rincorrere ogni volta, le crisi e le emergenze. Secondo diritto e umanità.