Ci sono i rassegnati, quelli che tiferanno per l’Islanda o per Panama, perché gli ultimi sono sempre di moda, soprattutto quando il primo non sei tu. Ci sono i fatalisti, quelli che «l’importante è vedere giocare un bel calcio...»: mentono sapendo di mentire, perché esultare per un gol della Germania è come emozionarsi davanti ad un gelato sciolto. Poi ci sono i nostalgici, pronti a raccontarti quando c’era Paolo Rossi e il Brasile si batteva in contropiede. E infine ci sono i debuttanti, quelli che hanno meno di 60 anni e un Mondiale di calcio senza l’Italia non l’hanno mai visto. Di certo sarà un mese triste, di pallone avaro per noi, di televisioni un po’ meno accese e di canali da cambiare spesso, per non farsi altro male.
Ci siamo meritati di non esserci, ma una cosa almeno chiediamo adesso: non sentirci ripetere fino al giorno della finale che la nostra nazionale assente in Russia è lo specchio del Paese. La fandonia del calcio metafora della vita ha stufato non poco, soprattutto perché non è quasi mai stato così, né per noi né per gli altri. Troppo facile dipingere l’Italia quando vince come il simbolo della nazione operosa che trova sempre il modo di cavarsi dai guai, che compensa il suo deficit tecnico con il cuore e l’inventiva. Se l’Italia perde invece, ovvio, allora è il simbolo della nazione pigra e involuta, che vive di espedienti e che viene sorpassata da squadre e nazioni più giovani, talentuose e dinamiche.
Siamo quello che siamo, punto. Sono altre le scelte, i profili per giudicare la maturità, la consistenza. Anche se ci atteggiamo a calcio-dipendenti, un Mondiale in più o in meno non può incidere più di tanto. Anche perché il calcio è la più imperfetta delle scienze inesatte. Un filo d’erba che devia il pallone cambia le storie e ribalta i destini, senza bisogno di dietrologia spicciola, spesso senza una ragione vera su cui accapigliarsi.
Resisteremo allora, ricordando quando le notti magiche le riempivano gli azzurri. Un mese è lungo, ma proveremo a sopravvivere ad un Mondiale da assenti colpevoli. Ma non da disperati, questo no. Sui social già impazzano le alternative: darsi al tennis, andare in India per la giornata internazionale dello Yoga, addolcirsi alla Fiera mondiale del cioccolato. Stupidaggini. Guarderemo gli altri giocare, magari provando a imparare che a volte si può esistere anche senza partecipare. Specie quando – come in questo caso – il gioco è più grande di noi.