giovedì 11 febbraio 2021
Legge delle Guarentigie e Patti Lateranensi: due anniversari e l’eredità che lasciano
Un seminarista, l’11 febbraio 1929, spiega al popolo davanti al Palazzo del Laterano la firma del Concordato.

Un seminarista, l’11 febbraio 1929, spiega al popolo davanti al Palazzo del Laterano la firma del Concordato. - Archivio Avvenire

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Tra le ricorrenze che si alternano e si sommano nella nostra storia nazionale, quest’anno il tradizionale richiamo dell’11 febbraio ai Patti Lateranensi si intreccia con l’anniversario del 13 maggio del 1871 della Legge delle Guarentigie che disciplinò i rapporti tra Italia e Vaticano fino alla stipula del Trattato e del Concordato nel 1929. Si tratta di un segmento storico segnato dal conflitto sulla Questione Romana, durante il quale si inseguono asprezze istituzionali e compromessi sociali che preparano la futura Conciliazione. Il Papa non accetta la politica dei fatti compiuti, e non riconosce il nuovo Regno italiano, mentre l’Italia respinge ogni ipotesi di concessione territoriale che faccia solo pensare alla reviviscenza del potere temporale. Per alcuni, sembrano bizantinismi d’altri tempi, però evocano quasi un torto che da una parte e dall’altra deve esser riparato.

Prendono spazio, ad esempio, alcune correnti anticlericali, che però non raggiungono conclusioni certe, mentre sullo sfondo si muove una storia più complessa verso risultati che le Parti non riescono a intravedere. Il Vaticano ignora che la fine del temporalismo avrebbe segnato, come osservò Arturo Carlo Jemolo, e confermò Paolo VI nel 1962 in Campidoglio, un’ascesa del prestigio mondiale del Papato, quale non s’era avuto prima, mentre la parola dei Pontefici succedutisi dopo il 1870 avrebbe contato anche fuori della cattolicità come mai in passato. L’Italia non sa che, alla fine, il Papa avrebbe avuto ragione su un punto di principio (l’indipendenza territoriale), e si sarebbe creato a Roma un singolare e affascinante Stato-bomboniera, sufficiente per evitare che nessuno potesse attentare alla realtà del Papato e ai diritti della Santa Sede.


Il rapporto tra Italia e Santa Sede continua a evolversi. E nella risposta della società religiosa, cattolica e non solo, alla grande pandemia si aprono nuove prospettive

Tuttavia, per giungere a una Conciliazione vera tra le sponde del Tevere, s’è dovuta percorrere una lunga strada, che inizia subito con le tutele e garanzie offerte dalla Legge del 1871, presto apprezzata un po’ dovunque come vero monumento di sapienza giuridica. Nello sfondo è la condizione della Chiesa cattolica in Italia, che non vive strappi laceranti, né a livello di governo della comunità cattolica al riparo da ogni tentazione giurisdizionalista, né a livello societario ove si rafforza il rapporto tra cattolicesimo e società civile. Contro ogni progetto separatista, si conferma da noi l’insegnamento religioso nelle scuole primarie per tutto il periodo in cui resta aperta la Questione Romana. D’altronde, le gerarchie vaticane s’attengono a una scelta legittimista verso le autorità del Regno, a cominciare dal Re e i governanti di Roma. I sovrani d’Italia vengono accolti solennemente da vescovi e cardinali in tutta Italia, lo stesso cardinale Giuseppe Sarto, prima di divenire papa con il nome di Pio X, rende visita ufficiale a Umberto I quando questo si reca a Venezia ed è ricevuto ufficialmente da Vittorio Emanuele III nel maggio 1903.


Per giungere a una Conciliazione vera tra le sponde del Tevere, s’è dovuta percorrere una lunga strada, che inizia subito
nel 1871. È ora di cancellare ogni concezione ideologica o tecnocratica delle relazioni sociali, per uno sviluppo solidale fondato sul bene comune

Dietro questo compromesso sociale e istituzionale, il rapporto tra Italia e Vaticano conosce un’incessante evoluzione, si fa sempre più stretto durante la prima guerra mondiale quando si dispiega la grande opera umanitaria della Chiesa, sollecitata e sorretta dalla figura storica di Benedetto XV, esaltata per la prima volta dal lutto ufficiale proclamato alla sua morte in Italia, fino a giungere ai colloqui per una possibile Conciliazione che si effettuano nel 1919 tra il presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando e monsignor Bonaventura Cerreti. I Patti Lateranensi del 1929 determinano la svolta del dialogo, e dell’accordo, come principio ordinamentale dei rapporti tra Stato e Chiesa, e questo si rafforza ulteriormente nel 1946-48 col passaggio allo Stato democratico e costituzionale, e con scelte non scontate che producono effetti storici in Italia. Un passaggio essenziale consiste nell’approvazione dell’art. 7 della Cost. che conferma la soluzione della Questione Romana, e si proietta verso la riforma del Concordato. Singolare, e ricco di potenzialità, è il fatto che l’articolo 7 sia approvato con una divisione delle forze laiche alla Costituente, e con il consenso determinante del maggior partito d’opposizione, il Pci, inaugurando così la formazione di un largo consenso politico per il principio di collaborazione con la Chiesa. Ancora, l’art. 8 della Costituzione estende il principio di bilateralità a tutte le Confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato saranno regolati per legge sulla base di Intese approvate con le relative rappresentanze.

Negli anni 70-80 del secolo scorso si sviluppa una 'pratica della collaborazione' che conosce diverse tappe legislative e di relazioni societarie. Dopo lunga maturazione, si giunge alla riforma del Concordato del 1984, sostenuta dal più largo sostegno politico, e subito dopo alla stipulazione di numerose Intese con le Confessioni non cattoliche con la Tavola valdese, poi con le Assemblee di Dio in Italia (Pentecostali), gli Avventisti del 7° giorno, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), le Chiese battiste, la Chiesa luterana, con i Buddisti dell’Ubu (Unione buddista i- taliana) dell’Istituto buddista Soka Gakkai (Ibisg), e altre ancora. Il principio di bilateralità diviene da allora lo strumento propulsore delle relazioni ecclesiastiche, e si estende a livello europeo in molti Paesi, a cominciare da quelli che fuoriescono dal comunismo. Un profilo nuovo e speciale dell’applicazione della bilateralità è costituito dai rapporti che si instaurano tra Stato e Confessioni in materia finanziaria, in specie per l’utilizzo da parte di Chiese e religioni del gettito Irpef dell’8 per mille, basato sulle scelte annuali dei cittadini. S’è di fronte a un cambiamento storico, perché cade il tabù ottocentesco che impediva allo Stato di sovvenire alle esigenze religiose dei cittadini, mentre si inaugura un circuito virtuoso, seguito anche in altri Stati europei, con il quale le Chiese utilizzano il flusso finanziario a favore di bisogni religiosi e sociali della popolazione. Si apre un capitolo inedito, che svuota di significato il concetto stesso di separatismo i stabilisce così una abitudine, una prassi, che unisce Stato e Chiese nei momenti più difficili, come sta avvenendo oggi nel periodo della pandemia che provoca aspre sofferenze, e gravi preoccupazioni per le nuove generazioni. Nel momento di maggior travaglio, il dialogo con le confessioni s’è intensificato su terreni imprevisti, come l’adesione alle misure anti-Covid, adottate del Governo d’intesa con le Chiese, e il soccorso in favore di categorie di persone più colpite dalla pandemia. Sul primo punto, nonostante qualche voce dissenziente sulla stampa, Stato e Chiese stipulano Protocolli per la celebrazione del culto, adatti a prevenire la diffusione del virus, a garantire le funzioni religiose per evitare problemi per la salute dei cittadini. Tra i Protocolli elaborati al Ministero dell’Interno si segnalano quelli con la Conferenza episcopale italiana del maggio del 2020 ('circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo'), e altri con le Comunità ebraiche italiane, le Chiese evangeliche, la Chiesa anglicana, con le Comunità ortodosse, le Comunità induista, le Comunità buddiste (Ubi e Soka Gakkai), le Comunità islamiche, e altre ancora.

Si apre un nuovo orizzonte d’intesa tra società civile e società religiosa che si dimostra vitale per la tutela della vita e della salute dei cittadini, per la salvaguardia della libertà religiosa e di culto di tutte le confessioni. Nell’azione diretta a fronteggiare i danni della pandemia, si dispiega u- na risposta corale e spontanea della società religiosa, che apre interrogativi e nuove prospettive per il futuro. Confessioni e Chiese destinano importanti quote dell’8 per mille, per sostenere enti e organizzazioni che combattono la diffusione del Covid. La Chiesa cattolica ha dato l’esempio stanziando subito oltre 250 milioni, ma un contributo di 1,5 milioni è venuto anche dall’Ubi, l’intero contributo annuale ricevuto per la prima volta dal Soka Gakkai, consistenti somme dalle Assemblee di Dio in Italia, e via di seguito.


Il rapporto tra Italia e Santa Sede continua a evolversi. E nella risposta della società religiosa, cattolica e non solo, alla grande pandemia si aprono nuove prospettive

Un capitolo a parte merita l’attivazione, periferica e centrale, di organizzazioni cattoliche (con interventi finanziari, centri di accoglienza e sostegno alimentare, con iniziative specifiche per categorie di persone), che si uniscono un po’ in tutto il Paese per partecipare quasi a una gara di solidarietà. Tra organizzazioni come l’Azione Cattolica, la Caritas, la Comunità di Sant’Egidio, la San Vincenzo s’estende una rete rivolta ai bisogni connessi alla pandemia: si portano il cibo a persone che non hanno casa e prodotti utili per proteggersi dal contagio. S’aggiunge l’azione di strutture portanti della sanità cattolica, come il Columbus Covid 2 Hospital, realizzato dalla Fondazione Policlinico Gemelli, la riconversione dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, il Campus Bio-Medico di Roma. Il valore della solidarietà a livello universale è stato al centro del magistero di papa Francesco nei momenti più aspri, con le sue esortazioni perché tutti agiscano con prudenza e saggezza anche seguendo le indicazioni delle autorità civili in funzione anti-Covid e anti-contagio. Francesco ha indicato più volte i principi etici su cui devono ispirarsi le società della sofferenza, dall’impegno per i vaccini destinati a tutta la popolazione, senza lasciar indietro nessuno, al valore morale della nella scelta di vaccinarsi per il bene di sé e degli gli altri. Si tratta di profili etici centrali, ribaditi in Italia dal presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, a conferma di una solidarietà senza confini, civili e religiosi.

Riguardato globalmente, questo impegno ha un saldo ancoraggio nella Costituzione e nella sua ispirazione personalista, ma la realizzazione spontanea che abbiamo riscontrato è andata ben oltre il dato giuridico, e può produrre risultati sempre più ampi. Si pensi alla collaborazione che s’è realizzata quando alcune strutture ecclesiastiche si sono messe a disposizione per il ricovero e la cura di cittadini colpiti dalla pandemia, o quando si è consentito a strutture pubbliche, o enti territoriali, di fruire di beni e mezzi confessionali, per sopperire ai bisogni di studenti e giovani in materia scolastica e di educazione. Queste esperienze, e possibilità, suggeriscono una riflessione speciale – sui temi dell’educazione e delle nuove generazioni, divenuti ormai strategici nella prospettiva della ricostruzione – per dar vita a nuovi rapporti che devono crearsi e svilupparsi tra pubblico e privato in ambiti decisivi come quello sanitario, educativo, formativo. Sta maturando la consapevolezza che spetta a tutti dare un contributo di capacità e di risorse, e che si cancelli ogni concezione ideologica e/o tecnocratica delle relazioni sociali a favore di uno sviluppo solidale fondato sul bene comune.

NEL 1871
La norma sulle 'garanzie' respinta da papa Pio IX


Dopo la presa di Roma da parte del Regno d’Italia nel 1870 si poneva la questione della configurazione giuridica della Santa Sede. Il Parlamento il 13 maggio 1871 promulgò la cosiddetta “legge delle guarentigie” (ossia delle garanzie). Il provvedimento muoveva dal concetto di assicurare al Papa un insieme di condizioni che gli garantissero il libero esercizio del potere spirituale, ma non quello temporale, come l’inviolabilità del pontefice, l’immunità dei luoghi di residenza, il diritto di ricevere e accreditare ambasciatori.
Considerata come atto unilaterale, fu respinta il 15 maggio da Pio IX – che si riteneva prigioniero politico – con l’enciclica Ubi nos. La legge regolò le relazioni Stato-Chiesa fino al Concordato del 1929.


NEL 1929
Quei Patti per superare la 'Questione romana'


Sottoscritti l’11 febbraio del 1929, i Patti Lateranensi definirono i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede, ponendo fine all’annosa “Questione romana ” che si trascinava dai tempi dell’annessione di Roma all’Italia il 20 settembre 1870. Firmati da Benito Mussolini per l’Italia e dal segretario di Stato vaticano Pietro Gasparri, si articolavano in due documenti: il Trattato, che riconosceva l’indipendenza e la sovranità dello Stato della Città del Vaticano, e il Concordato, che definiva le relazioni civili e religiose tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. I Patti sarebbero stati poi inseriti nella Costituzione della nuova Repubblica italiana nel 1948; il Concordato sarebbe infine stato rivisto nel 1984.

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