Papa Francesco nell’incontro con i gesuiti canadesi - .
Sul nuovo quaderno “doppio” (numeri 4131-4132) della rivista “La Civiltà Cattolica”, il direttore padre Antonio Spadaro racconta il dialogo del Papa con i confratelli gesuiti durante il recente viaggio in Canada. L’incontro si è svolto secondo lo schema delle domande e risposte. A seguire ampi stralci dell’articolo pubblicato su “La Civiltà Cattolica”.
È il 29 luglio, l’ultimo giorno del viaggio apostolico di papa Francesco in Canada. Sta per concludersi la tappa a Québec e iniziare quella a Iqaluit, nel Nord, dove è in programma l’incontro con gli Inuit. La conversazione con i gesuiti è prevista alle 9 del mattino, ma il Papa fa ingresso nella sala del palazzo dell’arcivescovado con un quarto d’ora di anticipo. Sono presenti 15 gesuiti della Provincia canadese, che comprende il territorio del Paese e Haiti. È in corso la Congregazione provinciale, prevista da tempo, e per questo è assente il padre provinciale. Dopo i primi saluti spontanei appena il Papa fa ingresso, padre Marc Rizzetto, della comunità di Québec, rivolge a Francesco un cordiale benvenuto da parte dei presenti e degli oltre 200 gesuiti della Provincia. (...).Alla fine, offre al Papa un dono: il quadro di una farfalla, che il Papa ammira, facendo anche una battuta: «Vedendo questa foto così bella mi viene un dubbio. È così bella che potrebbe essere una trappola gesuita. Non so se è una farfalla o un pipistrello!». E così provoca l’ilarità dei presenti (...).
Santo Padre, siamo in un processo di riconciliazione che non si è concluso. Siamo in cammino. Quali sono le consolazioni di questo suo pellegrinaggio?
(...) Vedete, la cosa più importante è proprio il fatto che l’episcopato si sia trovato d’accordo, abbia raccolto la sfida, e sia andato avanti. Questo del Canada è stato un esempio di episcopato unito. E quando un episcopato è unito, allora può affrontare bene le sfide che si presentano. Sono testimone di quel che ho visto. Questo, dunque, voglio sottolineare: se tutto sta andando bene non è a causa della mia visita. Io sono solamente la ciliegina sulla torta. Sono i vescovi ad aver fatto tutto con la loro unità. Poi è bene ricordare con umiltà che la parte indigena è davvero capace di affrontare bene la questione, ed è in grado di impegnarsi. Ecco, insomma, sono i miracoli che si possono fare quando la Chiesa è unita. E ho visto familiarità tra vescovi e indigeni. Certo, è inutile nasconderselo, ci sono alcuni che lavorano contro la guarigione e la riconciliazione, nella società come nella Chiesa. Anche stasera ho visto un piccolo gruppo tradizionalista che protestava, e diceva che la chiesa è un’altra cosa… Ma questo fa parte delle cose. Io so solamente che uno dei nemici peggiori contro l’unità della Chiesa e degli episcopati è l’ideologia. Dunque, si vada avanti con questo processo in cammino. Mi è piaciuto il motto del viaggio, che lo dice con chiarezza: Marcher ensemble. Camminare, ma insieme. Voi conoscete quel detto: «Se vuoi andare veloce vai solo, se invece vuoi andare sicuro vai accompagnato».
Lei parla di pellegrinaggio, di riconciliazione e di ascolto. Tutto questo plasma la sua visione sinodale della Chiesa? È di questo che sta parlando?
Guarda, a me dà fastidio che si usi l’aggettivo “sinodale” come se fosse la ricetta dell’ultima ora per la Chiesa. Quando si dice “Chiesa sinodale” l’espressione è ridondante: la Chiesa o è sinodale o non è Chiesa. Per questo siamo arrivati a un Sinodo sulla sinodalità (...). Mi sembra fondamentale ribadire, come faccio spesso, che il sinodo non è un incontro politico né un comitato per decisioni parlamentari. È l’espressione della Chiesa dove il protagonista è lo Spirito Santo. Se non c’è lo Spirito Santo non c’è neanche il sinodo. Ci potrà essere democrazia, parlamento, dibattito, ma non c’è “Sinodo”. Se volete leggere il libro migliore di teologia sul sinodo, allora rileggete gli Atti degli Apostoli. Lì si vede chiaramente che il protagonista è lo Spirito Santo. Questo si sperimenta nel sinodo: l’azione dello Spirito. Accade la dinamica del discernimento. Si sperimenta, ad esempio, che a volte si va veloci con una idea, si litiga e poi avviene qualcosa che riaccomuna le cose, che le armonizza in modo creativo. Per questo mi piace chiarire che il sinodo non è una votazione, un confronto dialettico di una maggioranza e una minoranza. Il rischio è anche quello di perdere il quadro d’insieme, il senso delle cose. Questo è avvenuto con la riduzione dei temi dei sinodi a una questione particolare. Il Sinodo sulla famiglia, ad esempio. Si diceva che era stato organizzato per dare la comunione ai divorziati risposati. Ma nell’Esortazione postsinodale su questo tema c’è solamente una nota perché tutto il resto sono le riflessioni sul tema della famiglia, come ad esempio quello sul catecumenato familiare. C’è tanta ricchezza, dunque: non ci si può concentrare nell’imbuto di una sola questione. Lo ribadisco: se la Chiesa è tale, allora è sinodale. Lo è sin dall’inizio (...).
Parlando di abusi. Io mi occupo di diritto canonico. Lei ha fatto molti cambiamenti. Alcuni la definiscono il Papa dei cambiamenti. Lei ha fatto cambiamenti anche a livello penale, proprio a riguardo degli abusi, e sono stati benefici per la Chiesa. Vorrei sapere come vede l’evolversi delle cose fino a oggi e se prevede ulteriori cambiamenti nel futuro.
Si, è vero. Si è constatato che bisognava fare dei cambiamenti, e sono stati fatti. Il diritto non si può tenere in frigorifero. Il diritto accompagna la vita e la vita va avanti. Come la morale: si va perfezionando. Prima la schiavitù era lecita ora non più. La Chiesa oggi ha detto che anche il possesso dell’arma atomica è immorale, non solo l’uso. Prima non si diceva questo (...). La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è sbagliata. Per questo è importante avere rispetto per la tradizione, quella autentica. Diceva uno che la tradizione è la memoria viva dei credenti. Il tradizionalismo invece è la vita morta dei nostri credenti (...). Bisogna prendere come riferimento l’origine, non un’esperienza storica particolare assunta a modello perpetuo, come se bisognasse fermarsi là. «Ieri si è fatto così» diventa «sempre si è fatto così». Ma questo è paganesimo del pensiero! E quello che ho detto vale anche per la materia legale, per il diritto (...).
Vorrei porle una domanda sulla liturgia e l’unità della Chiesa. Sono uno studente di Liturgia e vorrei sapere quanto questo studio sia importante nella formazione. Mi riferisco anche al nostro impegno pastorale come gesuiti.
Quando c’è un conflitto la liturgia risulta sempre maltrattata. In America Latina trent’anni fa ci sono state deformazioni liturgiche mostruose. Poi si è caduti dalla parte opposta con l’ubriacatura “indietrista” dell’antico. Si è stabilita una divisione nella Chiesa. La mia azione in questo campo ha mirato a seguire la linea percorsa da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che aveva permesso il rito antico e aveva chiesto di verificare successivamente. La verifica più recente ha fatto capire che c’era bisogno di disciplinare la questione, e soprattutto evitare che fosse un fatto, diciamo così, di “moda” e rimanesse invece una questione pastorale. Poi verranno gli studi che perfezioneranno la riflessione sul tema che è importante: la liturgia è la lode pubblica del popolo di Dio!
La copertina del prossimo numero de “La Civiltà Cattolica” - .