Caro direttore,
fino a qualche decennio fa era consuetudine curare gli anziani nell’ambito familiare. Oggi per vari motivi l’aspetto tradizionale della famiglia è cambiato, spesso per chi è avanti con gli anni si aprono le case di riposo, e per molti di loro la solitudine diventa una triste compagna di viaggio. Anche se parecchie sono le esigenze di chi è meno giovane, non sempre queste richiedono prestazioni con alta professionalità. Spesso c’è solo bisogno di semplici gesti, capaci di facilitare la normale quotidianità. In questa circostanza molto importante è il volontariato. Anni fa col gruppo giovanile della mia parrocchia avevamo "adottato" alcuni vecchietti. Regolarmente provvedevamo ai loro piccoli bisogni, in cambio i loro occhi ci regalavano scintille di gratitudine, e tanto bastava per farci continuare. Non di rado andavamo nelle case di riposo, dove portavamo biscotti, piccoli spettacoli e soprattutto un sorriso. Per chi è in età avanzata, un altro disagio è il dover accettare passivamente quanto si decide per loro conto. Spesso si pensa di conoscere i loro bisogni, senza aver prima verificato quali siano realmente le loro necessità. Non dimentichiamo che anche quando il corpo diventa debole, la vita non perde mai la sua dignità. Cicerone nel "De senectute" diceva che «potrà essere vecchio il corpo ma l’animo non lo sarà mai». Purtroppo oggi siamo attenti a chi produce ricchezza, e siamo sempre meno disponibili verso chi non può farlo. Sovente la solidarietà è difficile e faticosa, ma non dimenticare gli anziani è un impegno che deve coinvolgere tutti.
Michele Massa, Bologna
Tanti sono consapevoli di ciò che lei dice, caro signor Massa, e tanti fanno ciò che lei faceva, accanto a persone anziane che dipendono in molte cose dagli altri, eppure almeno altrettanto possono ancora dare in modo unico, insostituibile. La disperazione penetra, si radica e uccide là dove trova le crepe profonde della solitudine, là dove si interrompe la forza della relazione vitale, la verità di quel rapporto umano che ci fa davvero uomini e donne. Lo sappiamo tutti, questo, perché è nella nostra concreta esperienza e nel nostro sano desiderio. E sappiamo in cuor nostro (anche se troppo continua a ripeterci che non è più vero) che non si tratta di una formula astratta, ma dell’unico antidoto – semplice ma mai facile, lei ha ragione – al male di vivere che può aggredire chiunque lungo il cammino dell’esistenza e soprattutto nel suo ultimo tratto. Per questo anch’io non mi stanco di ripetere che non possiamo cedere alle sirene che ci cantano la gelida canzone della disperazione soprannominata "libertà" e ci tentano a darle ragione, aiutandola a finirci. C’è da fare l’esatto opposto: dare ragioni alla vita. E non per forza, ma per amore. L’amore che non è mai solo fiamma d’affetto, ma anche sguardo quotidiano, quotidiana cura, libera pazienza e vero rispetto. Non sia pessimista, dunque, e continui a essere "contagioso": chi fa bene, trasmette bene e lo moltiplica.