Un ragazzo italiano di origine cinese mi ha raccontato che, ogni volta che visita Pechino, nessuno lo chiama col suo nome: lo chiamano "banana", perché è giallo fuori (per il colore della sua pelle) e bianco dentro (per la sua cultura). Molti italiani di origine straniera si sentono come lui: estranei nelle loro società originarie, a causa della loro cultura, ed estranei nella società italiana, a causa della loro etnia e del colore della loro pelle.
Per questo, a partire dall’anno nuovo, smetterò di utilizzare locuzioni infelici come seconda generazione espressione che allude ai figli di immigrati come a stranieri figli di stranieri. In realtà, questi figli e figlie nati in Italia, nel cui contesto hanno preso forma la loro coscienza e il loro gusto per la vita, sono italiani di origine straniera.
Un altro termine che smetterò di usare è integrazione, che è qualcosa che può avvenire solo fra forme rigide. L’integrazione, infatti, è un compromesso fra due parti, ognuna delle quali ritiene che sia l’altra a dover cambiare per adattarsi a lei. Ci integriamo per evitare il conflitto, ma se il conflitto fra stereotipi è pericoloso, il dialogo fra stereotipi lo è ancora di più, perché nel primo sappiamo che c’è qualcosa di sbagliato e cerchiamo una soluzione, mentre nel secondo non avvertiamo il cancro che si diffonde, se non poco prima che deflagri o causi la morte.
Il modello inglese di integrazione, nonostante la sua grande apertura verso le religioni e l’accettazione della loro presenza nello spazio pubblico, è fallito ed è fallito anche il modello superlaico francese che esclude le religioni e, addirittura, criminalizza la loro presenza nello spazio pubblico. Questo è accaduto, perché entrambi i modelli - malgrado la forte differenza fra loro - hanno in comune l’esclusione della persona a vantaggio della forma. Il modello inglese integra l’islam come religione, ma ciò significa integrare un insieme di simboli e stereotipi a discapito del pluralismo e delle differenze fra credenti. In altre parole, nello spazio pubblico è presente la religione, non la persona. Nel modello francese, invece, integrazione significa che i cittadini, per accedere allo spazio pubblico, devono rinunciare a gran parte di quanto pensano sia la fonte del loro essere. Pertanto, anche questo modello ha come risultato l’assenza della persona in tale spazio.
Per questo, agli splendidi italiani e alle splendide italiane di origine straniera, io dico: non integratevi, interagite. Cambiate voi stessi e le vostre società, perché sia la persona sia la società sono uno spazio aperto alla generazione di nuovo significato per la vita. Dico loro: non sentitevi estranei, voi siete l’energia vitale di società colpite da senescenza. Siete il raggio di speranza di società sfibrate dalla corruzione dello spirito, prima ancora che dalla corruzione economica e politica. Non siete senza un’identità, siete l’identità del nuovo mondo. L’identità, infatti, non è qualcosa che si eredita dal passato, ma il presente intento ad agire per costruire il futuro. L’identità è dove il passato e il futuro si incontrano.