mercoledì 29 gennaio 2020
Sanata la ferita delle ordinazioni episcopali illegittime con l’Accordo tra Pechino e Santa Sede del 2018, adesso bisogna evitare che si creino divisioni artificiose tra fratelli
Papa Francesco con un gruppo di cattolici cinesi in piazza San Pietro

Papa Francesco con un gruppo di cattolici cinesi in piazza San Pietro - Ansa

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Anche nei confronti della Chiesa in Cina va emergendo un sentimento nuovo, tipico del nostro tempo. Qualcuno la chiama neostalgia: invisibilmente alimentata da internet, dal web e dai social, essa evoca un tempo aureo mai esistito, mischiando vecchio e nuovo, problemi veri e immaginario virtuale. Nella Chiesa cattolica tale sentimento si incontra con la strana idea che ci siano oggi due Papi, favorita dal fatto che vivono oggi contemporaneamente un Papa del passato e il Papa del presente e alimentata da fiction di successo e da fatti di cronaca. Tutto ciò offusca una chiara consapevolezza di chi sia il Papa e, soprattutto, del motivo profondo per cui di Papa ce ne può essere uno solo: il suo essere segno di unità nella Chiesa. A farne le spese è soprattutto tale unità. Così, dopo che per settant’anni la comunione con il Papa e la riconciliazione tra cattolici hanno rappresentato in Cina obiettivi assolutamente prioritari, per qualcuno tali obiettivi non sarebbero più importanti.

Ricapitoliamo. A partire dal 1949 – e in modo più evidente dal 1958 quando furono ordinati i primi vescovi illegittimi – i cattolici cinesi sono stati lacerati tra fedeltà al Papa e lealtà verso il Governo. Hanno vissuto per questo esperienze dolorose e pagato prezzi elevati. Ricostruire l’unità, perciò, è stato un obiettivo che i cattolici cinesi – sia 'clandestini' sia 'ufficiali' – hanno perseguito tenacemente: anche i vescovi illegittimi, appena possibile, hanno chiesto – segretamente e non senza rischio – di rientrare nella comunione con il Papa. Da poco più di un anno, l’obiettivo è stato finalmente raggiunto. Dall’8 settembre 2018 non c’è più alcuna divisone tra i cattolici cinesi e Roma: tutti i vescovi della Cina sono oggi in comunione con il Papa. E il 22 settembre 2018 è stato firmato un Accordo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese perché non ci siano più vescovi ordinati senza mandato papale.

Sarebbe naturale che, a questo punto, tutte le energie si concentrassero sul mantenimento dell’Accordo e sull’ampliamento dei suoi possibili effetti benefici, tra cui il raggiungimento della piena unità dei cattolici cinesi non solo con Roma ma anche tra loro. Ecco invece diffondersi la neostalgia, per la quale l’unità della Chiesa in Cina non è più la priorità. Il capovolgimento passa attraverso il tentativo di contrapporre il Papa di ieri (che non è più Papa) a quel- lo di oggi (che è l’unico Papa). Ma si tratta di una forzatura. L’unità fra 'clandestini' e 'ufficiali' è infatti un obiettivo già chiaramente indicato da Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007, in cui li invitava ad assumere «un deciso impegno» per realizzare la «comunione (koinonía) che incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero della Chiesa». Il Papa di allora li esortò a «superare [...] tensioni, divisioni e recriminazioni », sottolineando che «non si esprime un’autentica comunione senza un travagliato sforzo di riconciliazione». Era anche necessario – chiarì – affrontare la questione delle nomine episcopali, e a tal fine auspicò «un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all’episcopato, sia la pubblicazione della nomina dei Vescovi, sia il riconoscimento – agli effetti civili in quanto necessari – del nuovo Vescovo da parte delle Autorità civili». Benedetto XVI affermò anche: «La clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa» e «per tale motivo la Santa Sede auspica che [i vescovi clandestini] possano essere riconosciuti [...] dalle Autorità governative». Papa Ratzinger lasciò invece aperta la questione del modo in cui si dovesse realizzare tale riconoscimento, e su tale questione si è poi sviluppata un’intensa discussione.

Anche papa Francesco ha puntato sull’unità dei cattolici cinesi con Roma e tra di loro. Come fine dell’Accordo del 2018 tra Santa Sede e Cina ha indicato quello di «rag- giungere e conservare la piena e visibile unità della Comunità cattolica in Cina», oltre che «sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo». A questo scopo, ha aggiunto, «era fondamentale affrontare, in primo luogo, la questione delle nomine episcopali », attraverso un’intesa con le autorità cinesi per eliminare definitivamente il pericolo di ordinazioni illegittime. E, dopo l’Accordo, la Santa Sede si è adoperata per favorire il riconoscimento dei vescovi 'clandestini', pubblicando nel giugno 2019 gli Orientamenti pastorali circa la registrazione civile del Clero in Cina.

L'unità, insomma, prima di tutto, anche perché solo l’unità rafforza i cattolici cinesi. Ma per chi oggi ha nostalgia del passato i simboli sono più importati della realtà e le memorie più forti della storia. E non c’è dubbio che la clandestinità abbia una grande forza evocatrice. Per qualcuno è diventata questa la trincea da difendere, anche se Benedetto XVI l’aveva definita «anormale ». C’è chi spinge dunque perché i 'clandestini' restino nella clandestinità. Ma oggi tutto è cambiato e, scomparsi i vescovi illegittimi, la clandestinità ha perso la sua ragion d’essere. L’argomento principe dei nostalgici è che la Chiesa 'ufficiale' sarebbe una Chiesa 'indipendente' da Roma perché in concreto l’Accordo non avrebbe cambiato nulla. Sostengono perciò che, se accettassero il riconoscimento, i 'clandestini' tradirebbero il Papa, ipotesi surreale visto che il Papa chiede loro di farsi riconoscere. Qualcuno usa apertamente la parola 'scisma' che tutti i Papi, da Pio XII a Francesco, si sono sempre rifiutati di applicare alla Chiesa cinese, anche questo un assurdo dopo che la ferita dei vescovi illegittimi è stata completamente sanata. Oggi quella che qualcuno chiama ancora sprezzantemente 'Chiesa patriottica' è in realtà parte preponderante della Chiesa cinese pienamente in comunione con Roma. E pretendere di tenere i 'clandestini' nella clandestinità significa dividerli dai loro fratelli.

Tra le critiche rivolte ai collaboratori del Papa – ma indirettamente anche a Francesco – c’è quella secondo cui l’Accordo avrebbe peggiorato le condizioni dei cattolici cinesi. Si arriva persino a parlare di 'vittime' o di 'martiri' dell’Accordo a proposito di situazioni difficili in cui si trovano sia 'clandestini' sia 'ufficiali'. Ma sono problemi – alcuni gravi e importanti – che riguardano tutte le religioni del Paese all’interno di quell’aumento dell’accentramento e del controllo del partito sulla società di cui si è detto. In realtà l’Accordo, oltre a scongiurare ordinazioni illegittime e i loro tanti effetti dolorosi, ha avuto altri effetti benefici, come rafforzare l’episcopato. Le prime ordinazioni dopo l’intesa – celebrate dando pubblicamente notizia del mandato apostolico – sono state inoltre di due nuovi vescovi in piena sintonia con la Chiesa universale. L’Accordo, soprattutto, ha dato ai cattolici maggiore dignità davanti alla società cinese, che si traduce in maggior rispetto verso molti di loro: è un bene di cui dall’esterno fatichiamo a capire l’importanza. Per qualcuno, inoltre, Roma non amerebbe abbastanza i 'clandestini'. Ma – al di là di tanti gesti di aiuto non pubblicizzati – il fatto stesso di chiederne il riconoscimento significa favorire la loro uscita da una condizione pesante e in cui è difficile annunciare il Vangelo.

Mantenendo i già 'clandestini' nella clandestinità si finirebbe per far prevalere la logica dei 'nostri' contro gli 'altri', come se la Chiesa cattolica fosse un gruppo etnico o un partito politico, e non una comunione di uomini e donne con storie diverse. Al di là delle intenzioni dei nostalgici – vanno nello stesso senso anche forti pressioni della politica americana –, tutto questo spinge per far riconoscere i 'clandestini' come unica vera Chiesa e far dichiarare scismatici gli altri, far fallire l’Accordo e spingere allo scontro tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese. Si tornerebbe a un passato di ordinazioni illegittime e di divisioni laceranti. Il futuro della Chiesa in Cina, invece, passa per un’altra strada: quella dell’unità della Chiesa intorno a papa Francesco. Solo così i cattolici cinesi potranno portare efficacemente l’annuncio del Vangelo dentro quel grande laboratorio di esperimenti inediti che è la Cina di oggi e di domani.

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