Erano largamente previste le gioie e le difficoltà di questa missione papale in Irlanda. Partiamo da queste ultime. Difficoltà interne, legate alla (ovvia) decisione di aver posto al centro dell’Incontro mondiale delle famiglie un documento impegnativo come Amoris laetitia. E difficoltà esterne, determinate da quella che in modo affrettato si continua a definire laicizzazione della società irlandese ma che è invece, in modo più complesso, viscerale, straziante, la protesta di un figlio verso una madre da cui si sente offeso e tradito. Perché, in Irlanda, Chiesa e società sono da sempre così profondamente intrecciate da rendere quasi indistinguibili i confini, le competenze, i ruoli. Tante funzioni pubbliche, dalla scuola ai consultori familiari agli aiuti sociali, sono gestite direttamente dalle diocesi, quasi senza alternative.
D’altra parte, sarebbe troppo semplicistico leggere le aperture di questi ultimi anni, soprattutto unioni gay e aborto, come "vendetta" della società per il tradimento della Chiesa rappresentato dalla lunga e ancora esiziale bufera degli abusi sui minori. Certamente, quella lunga scia di scandali ha inciso a fondo nell’identità cattolica del Paese, ma in modo ancora tutto da decifrare perché, se si guardano per esempio le statistiche dei matrimoni, ci si accorge che 7 coppie su 10 continuano a sposarsi in chiesa.
Lecito chiedersi se la reazione durissima per gli scandali abbia intaccato la fiducia nelle persone e nelle istituzioni, ma preservato le radici della fede. Se così fosse, sarebbe un punto di partenza straordinario per quell’opera di purificazione collettiva nell’ambito della quale, secondo gli auspici di papa Francesco, l’Incontro mondiale deve rappresentare un volano di speranza, di nuove energie, di rivitalizzazione interiore e di rinnovamento pastorale.
Le premesse fanno comprendere che l’esito potrebbe davvero essere questo. Ma è indubbio che il fatto di ricalibrare il rapporto famiglia/Chiesa secondo i parametri impegnativi indicati da Amoris laetitia finirà con il rendere il percorso ancora più benefico. La rivoluzione della gioia promossa dal documento di papa Francesco – ieri sera ha parlato di famiglia come «faro che irradia la sua gioia nel mondo» – sarà inevitabilmente, e non solo in Irlanda, un processo di lunga durata, una svolta culturale che ha bisogno di adeguati tempi di maturazione e di sviluppo.
Se n’è avuta prova in questi giorni, nei tanti confronti previsti da un programma infinito su decine e decine di temi. A due anni dalla pubblicazione dell’Esortazione postsinodale è apparso evidente come le resistenze per alcune aperture, che sono ragionevoli tentativi di conformare più strettamente la prassi pastorale alla misericordia evangelica, permangano ormai in ambiti tanto residuali da apparire irrilevanti. Le migliaia di delegati provenienti dai cinque continenti hanno mostrato con chiarezza di aver compreso e fatto proprio l’intento di Francesco e del lungo percorso sinodale da lui voluto: cambiare per non morire.
Rinnovare la proposta, sganciandola dai vincoli di un giuridicismo ormai incomprensibile alla maggior parte dei fedeli, anzi causa di disagio e di fastidio, per evitare di rendere irreversibile la diaspora tra amore della vita e amore della norma, riavviando così un processo di bene.
L’appello è stato raccolto e, per quanto è stato possibile vedere, largamente condiviso proprio nei suoi obiettivi più ambiziosi. Ricostruire una civiltà dell’amore capace di andare all’essenziale ma, allo stesso tempo, pronta ad allargare le braccia per raccogliere gli appelli di coloro troppo a lungo lasciati ai margini. La presenza tanto discussa del gesuita James Martin, "missionario" sulla frontiera della realtà delle persone omosessuali e transessuali, si spiega proprio in questa logica. Gli interrogativi legati a un figlio gay sono tali da non poter essere ignorati da nessun genitore.
E se Amoris laetitia ne parla perché l’Incontro mondiale delle famiglie avrebbe dovuto tacere? Per lo stesso motivo non sono state trascurate decine di altre questioni su cui la famiglia, proprio come sull’educazione dei figli alla maturazione affettiva, ha piena titolarità. E sostenere la crescita della famiglia vuol dire costruire un mondo migliore perché, come ha detto ieri sera Francesco, «in ogni società la famiglia genera pace».