domenica 2 dicembre 2012
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Caro direttore,
l’avverbio viene definito come «parte invariabile del discorso che serve a modificare o a determinare il significato di un verbo, di un aggettivo o di un altro avverbio». Ecco due frasi, apparentemente simili ma di significati molto diversi, aventi come discrimine l’avverbio 'mai'. Due proposizioni riportate qualche giorno fa da un giornale locale, in un articolo che descrive un ampio e bellissimo intervento del vescovo di Biella, monsignor Gabriele Mana. Dice, tra l’altro, il vescovo: «Temo una fede che non abbia mai dei dubbi poiché rischia di diventare fondamentalismo». Il titolo dell’articolo è, invece, il seguente: «Temo la fede che non ha dubbi». La frase pronunciata da monsignor Mana può essere condivisa, per diverse ragioni. Tanto più che dal contesto del discorso si deduce che il vescovo intendeva dire: «Temo la fede che non ha mai avuto dei dubbi!». Il titolo dell’articolo è, invece, fuori luogo; anzi, peggio: è espressione di conformismo e demagogia, forse anche rivelazione di un deprecabile 'cristianamente corretto'; ed è, in una realtà ecclesiastica già sufficientemente compromessa, fortemente destabilizzante. Che virtù teologale potrà mai essere una fede dubbiosa, precaria? Questo è quanto intendevo dire sul confronto tra le due proposizioni esaminate. C’è, però, nel pensiero del vescovo un concetto che non mi convince, espresso dal vocabolo 'fondamentalismo'. Premetto di essere un fondamentalista e di essere, a ragion veduta, lieto di esserlo. Ma penso che anche monsignor Mana lo sia, non solo perché crede in ciò che dice. Ritengo, infatti, che un vescovo cattolico debba anche essere un vescovo cristiano e, come tale, credere pienamente nella vita e predicazione di Gesù Cristo. Intendo con questo affermare che se un qualsiasi vescovo non fosse fondamentalista non potrebbe considerarsi cristiano. Gesù Cristo è stato un eroe del fondamentalismo; ne è stato il massimo interprete. Negare questo vertice assoluto e insuperabile del fondamentalismo di Gesù Cristo significa, quantomeno, negarne la divinità. La parola fondamentalismo non ha, di per sé, un significato negativo: tutt’altro. Piuttosto, è stata ultimamente espropriata della sua vera e migliore accezione – al pari di vocaboli quali 'autorità', 'dialogo', 'tolleranza', 'disagio'… – per ragioni strumentali, ossia per secondi (o terzi) fini. Fondamentalista è, essenzialmente, chi segue con convinzione una determinata scuola di pensiero, è chi possiede certezze, chi ha punti fermi di riferimento, ai quali si attiene; è anche chi è innamorato di una qualsiasi squadra di calcio. Ma, attenzione! Esiste una deriva pericolosa del fondamentalismo, che è il fanatismo. Ma è tutt’altra cosa. Il fanatismo non è l’adesione incondizionata a un’idea, una fede, una teoria… ma è l’intolleranza più assoluta dell’opinione altrui; è il rifiuto totale di chi la pensa diversamente; è il rifiuto a oltranza del dialogo e del confronto; è anche il voler imporre le proprie idee agli altri. Per queste ragioni, il cristiano vero non potrà mai essere affetto da fanatismo, ma da fondamentalismo sì, eccome!
Mario Dionisotti, Dorzano (Biella)
 
La prima parte del suo ragionamento mi sembra esemplare, caro signor Dionisotti. Lei ricorda a noi giornalisti, che – a volte per pigrizia e altre per malizia – confezioniamo titoli che sono sintesi paradossali e infedeli, il dovere di non perdere mai per strada pezzi dei ragionamenti e delle vicende altrui. Non è certo una giustificazione che questo garantisca un po’ più di 'effetto'... del resto, mi rendo conto che poter mettere il dubbio sulle labbra di un vescovo è una tentazione forte. Un po’ come quella di fare ancora del dubbio un ingrediente essenziale della vita di una persona santa. Uno dei casi più clamorosi e recenti è quello che ha visto protagonista addirittura Madre Teresa di Calcutta, una donna di fede che ha conosciuto domande e incertezze grandi e ha saputo scrivere con la sua vita una lunga, dolcissima e forte risposta a ogni possibile titubanza, comprese quelle più alla moda. La seconda parte di ciò che scrive, invece, non mi convince affatto. E non perché le parole che le piacciono così tanto – 'fondamentalista' e 'fondamentalismo' – non possano essere colte nel significato 'buono' di un’adesione senza ombre alla fede che si professa, ma perché nelle concrete vicende di uomini, donne e religioni sono state usate e forgiate in ben altro modo. A lungo nel senso più rigido e aspro di chiusura all’altro, e infine come il motore di gesti di odio e di morte. Un 'fondamentalista' non è solo un fanatico, ma un fanatico all’ennesima potenza. Per sottolinearlo le propongo un efficacissimo passaggio della 'Caritas in veritate' (n. 56) in cui Benedetto XVI ragiona di laicismo e fondamentalismo. Scrive, dunque, il Papa: «L’esclusione della religione dall’ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati o perché vengono privati del loro fondamento trascendente o perché non viene riconosciuta la libertà personale». E subito aggiunge: «Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità». Per queste ragioni, caro amico, la fede di un vero cristiano non potrà mai essere fondamentalista. E io penso che, in realtà, la sua sia la fede di una persona che ama la chiarezza, non di un uomo affascinato dal fondamentalismo.
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