Rimanere in casa in tempi di coronavirus, è necessario. Anzi, è doveroso. Più ancora, è obbligatorio. Però non diteci che è bello. La gag di Fiorello in cui il comico invita tutti a stare sdraiati sul divano e a giocare a Monopoli fa sorridere, ma dopo due giorni viene voglia di far inghiottire al figlio l’intero blocco di "probabilità" e "imprevisti". Quando l’anno prossimo guarderemo al periodo dell’Italia "in zona rossa", diremo che sono stati settimane da baby boom o che ci sarà stato il boom dei divorzi e delle separazioni? Chiediamocelo, perché la questione è terribilmente seria.
I cappellani delle carceri sanno perfettamente quanto enorme sia la semplice pena della riduzione della libertà. Stare chiusi in pochi metri quadrati con delle persone facendo i conti coi loro modi di vivere diversissimi dai nostri è per la creatura umana una tortura.
Non è solo una fatica: ho usato il termine tortura e non me lo rimangio. Da qui al 3 aprile - e speriamo che questa quarantena sia sufficiente - saremo tutti in carcere o, per lo meno, agli arresti domiciliari. Con i figli che vorrebbero uscire e non possono, con i padri e la madri che vedono il lavoro come un’isola felice di relazioni più semplici e serene rispetto a quelle casalinghe. E non perché in ufficio abbiano l’amante, ma perché i colleghi sono parte essenziale della nostra 'dieta relazionale felice'.
Aggiungiamo al cocktail che è meglio non portare i piccoli dai nonni visto che i bimbi hanno grandi risorse immunitarie e proprio per questo possono essere formidabili 'untori' per gli anziani, e la bomba è innescata. Quali soluzioni dare? La prima è quella di non truccare la vita dipingendo le settimane che ci aspettano come se fossero 'una lunga vacanza'.
Se cadessimo in quest’errore il contraccolpo emotivo sarebbe terribile. Dipingere una situazione di grande difficoltà come quella che ci tocca come se fosse l’idilliaco momento in cui guardare film, leggere libri o addirittura scriverli, rischierebbe davvero di far saltare in aria il nostro nucleo familiare. Gli apostoli quando si trovarono di fronte al primo problema della Chiesa nascente - quello delle vedove - convocarono i discepoli e parlarono (Cfr Atti 6,2): parliamo, quindi, con chi ci sta accanto, del problema che avremo. Ci aspetta un periodo difficilissimo. Forse noi o qualcuno dei nostri cari verrà contagiato ed è possibile che gli ospedali non riescano a farsene carico come sarebbe accaduto in tempi normali. Inoltre tutto il Paese attraverserà una gravissima crisi economica.
Conosco tanti poveri 'normali' che già non sapevano come arrivare a fine mese: ora, dopo pochi giorni di emergenza, sono sull’orlo della disperazione. È la realtà. Infine, dobbiamo tener presente che questa congiuntura durerà a lungo. Forse il 3 aprile certe misure potranno essere allentate, ma non significa che il 3 aprile la nostra vita tornerà quella di due settimane fa. Parliamo tra noi di quello che ci aspetta. Prepariamoci. Studiamo dei rimedi.
Una delle poche cose che ci è consentita è telefonare. Facciamolo non solo con gli amici ma anche con degli specialisti. Penso a psicologi ed educatori. Impostiamo insieme come affrontare un regime di vita che non abbiamo scelto: rendiamoci conto che se non abbiamo scelto di vivere come vivremo, significa che siamo fatti per una vita diversa da quella che faremo nelle prossime settimane e mesi. Vogliamo prepararci?
Le compagnie navali, che hanno a che vedere con passeggeri che pagano per la vita 'limitata' che stanno conducendo, prevedono per le loro crociere una quantità infinita di diversivi: balli, giochi, serate, piscina, sport. Tutte cose che a noi sono e saranno proibite. Quando ci sono difficoltà bisogna guardarle in faccia per poi prendere delle decisioni. Dopo aver capito che dobbiamo rimanere in casa, quello della presa di coscienza è il passo che ci attende. Come vivere questo tempo di forzata convivenza con quelli che, finora, sono stati i nostri cari? Cosa fare perché, una volta passata la stagione del coronavirus, siano ancora 'i nostri cari'?