Che moltissimi uomini e donne si uniscano in un solo grande partito è una faccenda che si deve valutare con una previa simpatia. Che ci siano spinte a unirsi per cercare insieme soluzioni politiche ai problemi e alle necessità della vita comune è un segno che merita un favore iniziale, primario. La nascita del Pdl, come del resto quella del Pd, a noi suggeriscono anzitutto lo spettacolo di tanti uomini che mettono in comune ideali ed energia. E questo è un buon segno contro i tanti, troppi segni di disgregazione da cui siamo circondati. Naturalmente non viviamo sulle nuvole e sappiamo bene quanti e quali moti e spinte di interesse, di vanità, di opportunismo possono mescolarsi alla tensione ideale all’unirsi. E il valore di una formazione politica nuova lo si potrà valutare davvero non nel momento in cui celebra con fasto il proprio avvio ma quando si vedranno le scelte, le direzioni e le reali capacità di collaborare al bene comune. Non viene dal niente, questo Pdl. E per quanto negli anni scorsi non siano mancate critiche alla presunta inconsistenza o virtualità di una parte di forze che lo stanno componendo, ora quel che si avvia a Roma è un soggetto politico che ha dato nella strada percorsa fin qui segni di maturità nell’azione di opposizione o di governo. A questo nuovo soggetto viene da chiedere che sia innanzitutto e fino in fondo al servizio del bene del Paese. I partiti sono – pur con i mille difetti che spesso si imputano loro, a volte non senza occulti interessi di potere – lo strumento con cui democraticamente una comunità tende al miglior bene. Strumenti preziosi, che non hanno come scopo se stessi o il culto del proprio potere. I partiti devono 'servire'. A questo nascente Pdl si deve chiedere che 'serva' l’Italia. L’Italia reale, di uomini in carne e ossa che ha vite e idee spesso diverse da quelle ritratte dai maggiori mass media. Che ha pene diverse da quelle spesso affrontate sugli schermi. I partiti devono essere lo strumento reale della politica per servire la vita reale della gente. Si vive nel nostro tempo una formidabile serie di mutazioni. Un partito deve saperle interpretare, smentendo i luoghi comuni se necessario. Magari dimostrando che si è davvero più moderni leggendo i fenomeni al contrario di quanto fanno certi intellettuali o mass media presunti 'moderni'. Un partito non è una scuola filosofica, e quindi non ha un pensiero unico, ma deve avere modi di pensare che non violentino la realtà in nome della ideologia o del consenso. Ci sono delicate sfide in campo culturale ed etico che chiedono un modo di pensare realista e non ideologico, attento ai dati più che agli slogan. Ne va, in molti casi lo sappiamo, della dignità e del valore della vita di tutti, e specialmente dei più deboli. In questo senso un partito può esser la sede in cui chi è segnato da una esperienza di fede e chi invece non lo è possono trovare insieme modi di pensare realisti, cioè rispettosi della realtà delle cose. La Chiesa non chiede ai partiti di essere né sua gran cassa, né suo strumento. Perché la Chiesa è un corpo che non vive nel mondo grazie alla politica, ma che vive ed è vivissima grazie alla fede dei suoi figli. La politica non regala a nessuno la felicità, e non sarà dai cambiamenti politici che nasceranno nuove speranze, semmai il contrario. Esse nascono dal cuore degli uomini, spesso in condizioni politiche ardue o contrarie. Non sarà un partito a dare speranza ai genitori di fronte ai loro figli, o far sorgere nei giovani la voglia di impegnarsi nella vita. Per questo occorrono uomini e donne, educatori, esempi. I partiti, però, possono favorire questi esempi, oppure ostacolarli, ignorarli, e parlare sempre d’altro. Dal Pdl come da nessun partito e da nessun uomo si pretende la perfezione. Ma la Chiesa chiede ai partiti, come a ogni singolo uomo, di usare la ragione e di non censurare la domanda di bene e di giustizia che ci urge nel cuore. La nascita di un partito, uomini che mettono in comune ideali ed energia