Caro direttore, con gioia, più del solito, ho aperto “Avvenire” di domenica 18 dicembre che intitolava in prima pagina «Ridotto soccorso ». Ho condiviso ogni riga delle dichiarazioni del presidente della Simeu («L'unica cosa che possiamo fare è dire che stiamo soffocando»!), e letto, come sempre con piacere, il racconto personale della bravissima Marina Corradi. Ma dentro ho, da medico di Pronto Soccorso da oltre 20 anni, anche tanta rabbia, delusione, sensazione di impotenza e di abbandono. E le responsabilità ci sono, sono precise, hanno nomi e cognomi, che vanno fatti. Non è strano e imprevedibile che una popolazione sempre più anziana come quella italiana abbia richieste sanitarie sempre in aumento.
Cosa è stato fatto? Tagli dei posti letto pubblici, riduzione del personale, privazione di ogni incentivo a tutti coloro che fanno la fatica più grande, nel posto più rischioso, sempre, di giorno e di notte, tutto l'anno. Sviliti, sottopagati, denunciati, offesi, minacciati quando non picchiati: è strano che più nessuno voglia lavorare in PS? Oltre a questo, fatto un po’ coscientemente per favorire la sanità privata, un po’ incoscientemente per deficit cognitivi e di lungimiranza, i nostri politici nazionali e regionali hanno anche affossato la sanità sul territorio, con una guardia medica pressoché inutile e con medici di medicina generale sempre più carichi di pazienti e di burocrazia, anche se immuni da qualsiasi controllo in caso di “scarsa” presenza e operatività.
Le eccellenze ospedaliere e regionali spesso sono autodichiarate, millantate, pur riconoscendo l'alto livello medio della sanità italiana. I provvedimenti fittizi inventati per dimostrare di far qualcosa, soprattutto prima delle elezioni, come le case di comunità e gli ospedali di comunità, illudono solo gli ingenui. Se non si spendono con oculatezza soldi, più soldi, per la sanità di tutti, proseguirà questo declino vertiginoso. Non interessa niente ai direttori generali degli ospedali, che per centrare gli obiettivi regionali investono in quello che rende economicamente, e il PS notoriamente non rende, per questo la sanità privata non ha PS, o, se è costretta ad averlo, lo tiene senza promuoverlo. Tanto poi, quando il parente di turno finisce in PS, è tutto un telefonare e premere perché venga visto prima, e dal medico migliore, e gli venga riservato un posto letto in reparto (che fino a 5 minuti prima non era disponibile per nessuno degli altri pazienti in attesa, magari da giorni). Perché si scrive che entro 8 ore si deve essere ricoverati, ma non si investe per far sì che questo possa avvenire.
Caro direttore, ho interrotto la scrittura di questa lettera, preso dalla sfiducia, e devo anche aggiungere che segnalare mancanze e criticità non è concesso al dipendente di un'azienda ospedaliera, che deve evidentemente solo tacere per non offuscare la sbandierata eccellenza della magnifica azienda sanitaria e regione da cui dipende. Quindi valuti lei se mostrare la firma, in caso di pubblicazione. Ma il mio scopo non è essere publicato, è migliorare le cose, e l'unica cosa che i direttori e le Regioni non vogliono e che può indurli a modificare qualcosa è quando qualcuno grida che “il re è nudo”; tutto il resto, comprese lettere all’Ufficio Relazioni con il Pubblico, denunce legali e altro, non li tocca minimamente. Rinnovando la stima e l’apprezzamento per il suo e nostro giornale, e con l’augurio di buon tempo di Natale e di buon anno, saluto e ringrazio.
Lettera firmata
E io, caro dottore, ho letto con partecipazione la lettera che mi ha inviato. Apprezzo molto la sua schietta competenza e anche il fatto che abbia lasciato a me la scelta di rendere pubbliche o meno le sue generalità (sono io, infatti, ad aver deciso di tenere riservata la sua firma). Non c’è nulla di astrattamente ideologico nelle disfunzioni e nelle criticità di cui scrive, e c’è molto, moltissimo, di vissuto. Sulla “prima linea” del Pronto Soccorso dove opera. Anch’io che coltivo una salda idea di ciò che è “pubblico” e tengo cara la certezza che quell’aggettivo non è affatto sinonimo di “statale” e neppure di “regionale”, ho ben chiara l’importanza del fatto che le strutture sanitarie promosse direttamente dall’amministrazione pubblica devono tenere alto il “livello dell’asticella”... Se non fosse così, una buona ed efficiente “sanità di tutti” diventerebbe presto una chimera. In qualunque realtà territoriale, niente affatto esclusa quella lombarda. (mt)