Caro direttore,
l’Italia di Mancini sconfigge l’Austria e accede con merito ai quarti di finale degli Europei di calcio dove affronterà il Belgio. I giorni prima della partita sono stati segnati da discussioni su inginocchiarsi o meno in segno di protesta contro il razzismo e alla fine nessuno lo ha fatto, se non chi ha segnato, in segno di esultanza. Ovviamente affermare che chi non si inginocchia è razzista è una colossale sciocchezza e va rispettata la libertà individuale e di coscienza. Un gesto simbolico deve essere spontaneo e sincero, altrimenti non ha valore. Tuttavia è da notare che ogni giorno ci omologhiamo a decine di idee e comportamenti, rendendoci schiavi di mode, influencer, strategie di mercato e comportamenti indotti. Poi, paradossalmente, quando ci viene richiesto di lanciare un messaggio sociale, in questo caso contro il razzismo, rivendichiamo libertà, autonomia di pensiero e ribellione al gesto collettivo, magari affermando che è una “moda inutile”. Urliamo che no, noi siamo liberi, noi siamo contro il razzismo ma quello che conta è il nostro comportamento privato! Certo, ma conta moltissimo anche il comportamento pubblico: rifiutando un minimo gesto di solidarietà dimostriamo solo di essere ignavi, se non di avere paura. Paura di metterci pubblicamente contro quelli che praticano razzismo e discriminazione, perché purtroppo sappiamo che sono ancora tanti e intorno a noi. Ma, così facendo, è a loro che ci inginocchiamo... Comunque forza Azzurri e speriamo di vincere sia il campionato europeo che la lotta contro il razzismo!
Luca Salvi, Verona
La penso come lei, caro dottor Salvi, sino all’esclamativo finale, pienamente benaugurante per i calciatori azzurri. Non possiamo essere «ignavi», coloro che non scelgono da che parte stare e che Dante pone nell’anticamera dell’Inferno. Ecco perché considero utile e persino benedetto il dibattito che si è riacceso, non soltanto in Italia, sulla questione del piegare o meno il ginocchio contro il razzismo secondo la proposta di Black Lives Matter (Le vite nere contano). Parliamone, parliamone a fondo, e domandiamoci perché il nodo è ancora intricato nella testa e nella vita delle persone e perché l’uguaglianza reale degli esseri umani oltre le diversità di pelle, di condizione sociale, di cultura e di religione si conferma anche al principio del terzo decennio del XXI secolo un problema così doloroso in tante parti del mondo.
Sì, la penso come lei, caro amico, e penso pure che nessuno più di un cristiano dovrebbe aver chiaro (potrebbe far bene leggere o rileggere la meditazione «La stola e il grembiule» di don Tonino Bello) che ci si inginocchia solo davanti a Dio e a coloro che papa Francesco chiama gli “scartati”. Cioè davanti alle nostre sorelle e ai nostri fratelli in umanità fragili, poveri, condannati e discriminati (Mt 25,31-46) nei quali, come Gesù stesso ha insegnato, possiamo riconoscere il volto del Dio incarnato e curare le ferite del Crocifisso. Per questo ritengo che l’inginocchiarsi contro il razzismo è tutto meno che un gesto ideologico e conformista: è un civile gesto di umano rispetto e una richiesta di giustizia; e per me, credente, è contemporaneamente anche un gesto di preghiera e una dichiarazione di fraternità.