La realtà è una costruzione sociale. «Quando una situazione è definita come reale, diventa reale nelle sue conseguenze». Questo teorema, capitale nella storia del pensiero sociologico, è illuminante nel dar conto della potenza del linguaggio, del discorso mediatico in particolare, nel forgiare l’universo sociale e i significati che attribuiamo alle cose, fino a conferire caratteristiche di naturalità e di autoevidenza a situazioni che sono il frutto di processi di “invenzione”, quando non addirittura di “manipolazione”. Un caso davvero emblematico ci è offerto dall’espressione “diritti civili”.
Nel suo significato per così dire originario, custodito dai manuali di diritto costituzionale, quelli civili sono una delle tre grandi famiglie di diritti individuali – insieme a quelli politici e sociali – e i primi a essersi storicamente affermati, agli albori del processo di democratizzazione delle nostre società. Contemplano le libertà personali – di muoversi, di associarsi, di esprimere le proprie opinioni, di professare un proprio culto... – insieme al diritto di difesa in giudizio. Sono diritti che, nel riconoscere la fondamentale dignità di ogni persona, eleggono il confronto tra opinioni diverse a principio cardine della convivenza e della democrazia.
Ma nell’Italia contemporanea, il nobile concetto di diritti civili è stato disinvoltamente appiattito su un significato molto più circoscritto, e che per molti versi ne è la negazione. I diritti civili evocano, sostanzialmente, il diritto delle coppie omosessuali alla genitorialità biologica e sociale e il “diritto” delle donne ad abortire. Questa adulterazione del significato serve, appunto, a rendere la materia incontestabile e, a ben guardare, a erigere una gerarchia di priorità basata sul noto criterio secondo il quale “alcuni sono più uguali degli altri”.
Capita così che le stesse amministrazioni locali che si sono affrettate, proprio in nome dei “diritti civili”, a forzare la legge per iscrivere nei registri anagrafici i bambini di coppie dello stesso sesso – spesso nati attraverso la pratica dell’«utero in affitto», una pratica peraltro aborrita anche da molte persone omosessuali – non siano altrettanto solerti nel rimuovere le barriere architettoniche che privano i disabili del più elementare diritto alla mobilità (o nell'attrezzare i parchi giochi comunali con giostre fruibili anche dai bambini con qualche problema fisico).
E capita sempre più spesso di vedere bollato come retrogrado e illiberale chi solo s’azzarda a mettere a tema una possibile riforma della legge 194. Quando illiberale dovrebbe essere considerato chi rifiuta aprioristicamente il confronto delle idee e dei punti di vista. E retrogrado chi si ostina ad affermare la natura “non umana” dell’embrione, laddove l’evidenza scientifica, grazie agli straordinari progressi della diagnostica ecografica, dimostra esattamente il contrario. Lo testimoniano i tanti genitori e nonni che, orgogliosamente, mostrano i referti ecografici di un essere umano che sente, si muove e respira e che, ben prima di uscire alla luce, è chiaramente maschio o femmina.