Caro direttore,
vorrei rivolgermi ai miei connazionali per far sapere loro che il piccolo Charlie è anche italiano! È una rivelazione choc, lo so, ma Charlie Gard, il bimbo di soli 10 mesi condannato a morire a motivo della sua malattia rara, è un po’ anche mio figlio. Per questo non riesco a tenermi fuori dall’angosciante dibattito che in diverse parti del mondo ha filosofeggiato sulla pelle di un bimbo più che mai indifeso dopo che una sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo ha aperto definitivamente la strada davanti a chi lo vuol lasciar morire. Niente è più innaturale di non voler far curare un figlio!
Conosco l’alfabeto del dolore che spesso si compone in una fraseologia incomprensibile e impronunciabile come "sindrome di deperimento mitocondriale", "microcefalia congenita" o "derivazione ventricolo-peritoneale in soggetto con tetraparesi spastica-distonica" e chissà quante ne potremmo ripetere. Conosco soprattutto il linguaggio duro delle corsie degli ospedali e quello ansiogeno delle corse rapidissime a sirene spiegate in ambulanza; conosco la punteggiatura fatta di continui puntini sospensivi delle sale d’attesa delle terapie intensive e dei mille punti interrogativi degli ambulatori medici. Il linguaggio del dolore è universale e inevitabilmente ci lega all’altro con intima confidenza, facendoci sentire parte di quelle storie che, pur lontane, sentiamo ficcarsi con impeto dentro al petto, portando talora ineffabile dolore e diventando prossime.
È così che posso dire che Charlie è anche mio figlio, perché so cosa vuole dire tenere tra le braccia la carne debolissima di una creatura che ami, so bene cosa vuol dire dividere lo sguardo tra il volto dolcissimo di un figlio e i monitor che tengono sotto controllo i suoi parametri vitali, conosco le notti insonni ad abbassare la febbre con la tachipirina e a cullare con la filastrocca preferita che rilassa anche le distonie più insistenti della mia piccola principessa. Non sbaglio: il dolore ci rende prossimi.
Allora con l’ardire di un padre che come un leone lotta per la vita del figlio, così anch’io, un po’ padre di Charlie Gard, chiedo a tutti noi, concittadini italiani, di osare! Sì, ci chiedo di esagerare. E dico agli amici politici di ogni partito: andate oltre i protocolli istituzionali, che spesso tengono ingabbiato l’uomo dentro rigide formalità. Esagerate, esageriamo, con il gesto folle della pietà, con la pazzia della misericordia che sa prendersi a cuore le creature più fragili e indifese perché voi per primi sapete, come ognuno di noi, che la gente che abita un Paese si può definire "popolo" solo nel momento in cui non abbandona i figli più deboli.
Pietà e misericordia: termini nei quali l’eloquenza politica non si imbatte facilmente, che a volte evita ad arte. Ma la pietà e la misericordia sono gli atteggiamenti che ricordano all’uomo di essere uomo, e a un popolo di poter essere solidale. Oggi pietà e misericordia sembrano forse pura follia, ma di questa follia non possiamo fare a meno. Per questo chiedo ai nostri rappresentanti politici, e a tutta la mia gente, di saper essere uniti e di offrire la cittadinanza d’Italia a Charlie Gard e ai suoi genitori. Possiamo farlo, perché noi italiani sappiamo prenderci cura di chi è più debole. Diamo un segnale controcorrente a una società sempre più spezzettata in solitudini, dimostriamo anche così che possiamo essere forti e coesi, appassionati e solidali. Ogni uomo, proprio ognuno di noi, sa per esperienza quanto dolore possa portare lo strappo prematuro dalla vita di persone care. Perciò supplico: mostriamoci popolo, proviamo a sentirci parte di un’umanità che sa ancora cogliere la vita in ogni suo momento, anche quello più delicato e stanco. Una vita così piccola e fragile pretende, per la legge della compensazione, il gesto sproporzionato dell’eccesso di umanità. Proviamoci. Esageriamo, cittadini e politici tutti insieme, un popolo unito. Offriamo la piena cittadinanza italiana al piccolo Charlie Gard. E aiutiamo i suoi genitori a percorrere assieme a lui con dignità e amore, sino all’ultimo istante ragionevolmente possibile, la strada della speranza e della cura. E ricordiamoci che il piccolo Charlie è già un po’ italiano, perché ogni figlio, soprattutto se piccolo e fragile, è un po’ figlio nostro.
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, autore di "L’eutanasia di Dio"