Charlie e non solo: l'assedio dei dubbi e le comuni risposte che bisogna trovare
domenica 2 luglio 2017

Caro direttore,

non c’è dubbio che sia straziante, sconvolgente – mi viene da dire disumana – la vicenda del piccolo Charlie Gard. Così dolorosa che non ci sono sufficienti parole per poterla descrivere. Non a caso sappiamo come definire un uomo o una donna che rimangono privi della loro compagna o compagno; o i figli cui muoiono i genitori. Ma non c’è termine per definire genitori cui i figli vengono meno. È qualcosa di “indicibile”; appunto: disumano.

Nel caso del piccolo Charlie, ancora di più. Si capisce benissimo che i genitori non sappiano, non possano, non vogliano accettare la morte del loro piccolo di appena dieci mesi. Anche se la scienza non sembra dare loro speranza, perché al momento, per quella rarissima malattia del mitocondrio non c’è rimedio. Leggere le dichiarazioni dei genitori al “Daily Mail” è straziante: «Abbiamo promesso al nostro piccolo ogni giorno che l’avremmo riportato a casa. Vogliamo fargli fare un bagnetto a casa, coricarlo nella culla dove non ha mai dormito, ma adesso tutto questo ci viene negato».

È una richiesta a cui i sanitari si sono opposti. Avranno le loro ragioni, non le conosco, e non conoscendole non le posso contestare. Procedo a tentoni. E come si potrebbe altrimenti? Quello che sappiamo che la famiglia ha tentato fino all’ultimo di poter esercitare una “genitorialità”, e di poter esercitare la sua libertà di scelta sulle terapie. Aggrappata all’estrema speranza, avrebbe voluto portare il piccolo Charlie negli Stati Uniti, per tentare una cura sperimentale. Perché non concedere questa possibilità? Non so dare una risposta.

Leggo che i medici escludono che per Charlie ci sia rimedio; che per il piccolo si prolungherebbe un’agonia dolorosa. Se è vero, se davvero è così, allora, pur nella comprensione del tremendo dolore dei genitori, non è forse una forma di (certo, inconsapevole) egoismo, il voler proseguire questo calvario, e per di più su un essere che non è in grado di esprimere la sua volontà? Ripeto, non ho risposte definitive, e non credo neppure ci siano. Vorrei avere la certezza di questa sofferenza del piccolo Charlie; e voglio augurarmi che medici e sanitari abbiano saputo fornire gli elementi necessari alle varie corti di giustizia che si sono pronunciate su questa vicenda.

C’è poi un altro aspetto, che vale per Charlie e più in generale: la responsabilità dei genitori verso i loro figli minorenni. Fino a che punto si può esercitare ed è vincolante, e quando invece la si può (anzi, la si deve) superare?

Nella recente querelle dei vaccini, per esempio: accettiamo che un’entità esterna possa far prevalere la sua volontà a quella di genitori che sono contrari al vaccino. E in tanti altri campi: si possono fare una quantità di altri esempi in cui – giustamente – la volontà genitoriale viene messa in discussione e si privilegia il “bene” del minore indifeso.

Potrei citare il non meno dilaniante caso di Eluana Englaro: in questo caso, a differenza di quello di Charlie, la volontà dei genitori era di staccare la spina; ma anche in questo caso, la “semplice” volontà dei genitori è rimasta per lungo tempo lettera morta, fino a quando non è intervenuta la magistratura – una entità esterna – che ha riconosciuto come fondate le richieste della famiglia Englaro. Nel caso del piccolo Charlie, le ragioni della famiglia non sono state ritenute accoglibili. Due volontà diverse, da parte delle famiglie; e comunque un “attore” terzo che dirime la questione. Decisioni entrambe tremende, laceranti. Per tutti: credenti, non credenti, diversamente credenti. Episodi, situazioni che mettono in discussione le nostre certezze, insinuano dubbi; in ogni caso le risposte sono dolorose e tormentate. Ed è giusto sia così, perché si parla di vita e di morte, di sofferenza; e spesso i “protagonisti” di queste vicende sono muti, fragili, bisognosi di protezione.

Caro direttore, non ho risposte certe, ho piuttosto una quantità di interrogativi. Non credo di essere sola. Per questo credo sia necessario parlarne, confrontarsi, discutere; in una parola: dialogare su questi che sono i veri temi importanti, con la volontà di ascoltare, e di cercare di capirsi.

Maria Antonietta Farina Coscioni, Presidente Istituto Luca Coscioni

Charlie Gard è nei nostri pensieri e nella nostra preghiera come lo è (o dovrebbe esserlo) ogni altro essere umano ingiustamente o inspiegabilmente sofferente e rifiutato, ma forse in questi giorni duri e amari Charlie lo è un po’ di più per la speciale “parentela” che l’amore e il dolore dei suoi genitori ha saputo creare con ogni persona di cuore e di coscienza. E io sono davvero grato, gentile presidente Farina Coscioni, per questa lettera pensosa e appassionata che lo conferma. Sono convinto, come lei, che mai inutile o di troppo sia l’ascolto reciproco e che non si sia mai abbastanza delicati, prudenti e saggi nel “maneggiare” col proprio giudizio la vita e i sentimenti degli altri. È un criterio che, come lei, cerco di tener caro e al quale ho sempre cercato di ispirarmi anche quando la chiarezza delle informazioni raccolte – penso alla straziante morte di Eluana Englaro come alle spesso terribili vicende legate alle migrazioni forzate di questi anni – mi hanno portato a esprimere e motivare opinioni forti e chiare. Amo e rispetto la vita, e la difendo non per imporre una visione antropologica e concrete scelte a singoli individui o interi corpi sociali, ma per preservare una dignità e una civiltà fondate sul valore della persona che non può essere oggetto di calcolo economico, di valutazioni utilitaristiche, di abbandono e di scarto.

Mi rendo anche conto che le domande che ci poniamo sulla frontiera tra la vita e la morte, domande che ci assediano da sempre, stanno facendosi sempre più incalzanti e spiazzanti a causa del progresso persino strabiliante delle conoscenze scientifiche e delle tecniche mediche lungo molti percorsi di diagnosi e di cura e, al tempo stesso, della tenace, drammatica insufficienza delle risposte e delle soluzioni disponibili in parecchi altri casi. Per questo è così dolente e coinvolgente il caso di Charlie, il bimbo inglese di appena 10 mesi che è vittima di una malattia rarissima, attualmente senza rimedio e però curabile (come praticamente tutte) e forse – forse! – guaribile con una costosa terapia sperimentale resa praticabile anche dalle spontanee donazioni di tante persone semplici, ma che la convergente determinazione di medici inglesi e magistrati inglesi ed europei sta portando a morte immediata contro la volontà di sua mamma e suo papà. Questa vicenda giustamente definita «strappacuore» dice con forza delle grandi possibilità e dei seri limiti della scienza (medica e giuridica) e conferma la necessità di una sana e salda “alleanza” tra chi cura e chi è curato. Un’alleanza presidiata da regole e leggi non invadenti e non dirigiste. Un’alleanza solidale, che faccia incontrare la scienza e la coscienza dei sanitari con il certo diritto dei pazienti e dei loro cari a una medicina dal volto umano, cioè ispirata a un sereno e non accanito favor vitae e mai piegata a un algido e ambiguo favor mortis.

Lei lo sa già, cara presidente, ma glielo confermo: ciò che preoccupa anche me e anche me rende inquieto non sono gli umanissimi dubbi coi quali tutti ci misuriamo e le umanissime scelte e disperanze che per me, cristiano, solo Dio-Amore vede e giudica nella loro interezza e verità, ma la disumanissima tendenza delle leggi (codificate o sentenziate) del nostro tempo a inclinare verso risposte di morte nei casi che più emblematicamente stanno influendo sulla riflessione comune e sul clima morale delle nostre società. Chi cerca morte finisce per trovarla o per dilatata norma o per letale attivismo e indulgente inerzia, chi cerca vita trova porte chiuse, indifferenza e anche clamorosi dinieghi. Tutto questo è ingiusto, e pericoloso. E pone nuove e dure domande che non lasciano tranquilli e meritano comprensione profonda e risposte comuni.

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