Capire la storia e aprire il futuro «vedendo le facce» della gente
giovedì 17 novembre 2016

Caro direttore,
si continua a parlare e scrivere della difficoltà, per mancanza di insegnanti in diverse materie, nel far decollare l’anno scolastico anche al tempo della “buona scuola” e mi viene in mente il famoso maestro Manzi che con la televisione ha fatto imparare a leggere e a scrivere a innumerevoli italiani “supplendo” a ritardi antichi e a radicate ingiustizie. Credo che anche oggi servirebbe far ricordare ai più anziani e far conoscere alle nuove generazioni la nostra storia del secondo dopoguerra del Novecento. Non so come funzionino i programmi scolastici attuali, ma se potessi dire la mia, suggerirei di far “vedere le facce”.

Perché un conto è sapere date o avvenimenti e un’altra cosa è vedere le persone che hanno fatto e subìto la storia. Mi spiego: un conto è parlare di riforma agraria e altro è vedere le facce dei contadini in fila quando veniva loro assegnato il sospirato pezzo di terra, un conto è parlare in astratto di ricostruzione e ripresa economica e altro è vedere un sobrio, lucido e dignitosissimo Alcide De Gasperi chiedere aiuti agli Stati Uniti e, poi, le navi che scaricavano grano nei nostri porti e l’avvio di concreti interventi come Unra, Erp, Piano Marshall. Diverso è parlare di “boom” economico dal vedere la “gente del Sud” con valigie e scatoloni salire al nord, destinazione la Torino delle grandi fabbriche, e i palazzi nei quali era andata ad abitare... Si potrebbe continuare con altre mille situazioni. Lei mi dirà che son ingenuo, ma – se dipendesse da me – farei vedere nelle classi scolastiche davvero tanti filmati di quel periodo duro e pieno di forza, e poi farei fare un tema con le impressioni degli studenti affinché rimanga loro impresso questo passato. Sono certo che tutto questo li farebbe sentire fortunati grazie ai tanti sacrifici fatti da altri e stimolati a fare ora la loro parte per il bene di tutta la comunità. Solo la scuola può fare questa operazione culturale. Un cordiale saluto con l’augurio di un futuro un po’ più solidale.
Francesco Ferrari, Merate

E perché mai dovrei dirle che è un ingenuo? No, gentile e caro signor Ferrari, lei non è affatto ingenuo. Mi piace la sua idea di “far vedere le facce” attraverso filmati e foto capaci di rendere plasticamente evidente che cosa è accaduto nelle vite delle donne e degli uomini co-protagonisti di passaggi chiave della nostra comune vicenda nazionale e, aggiungo io, umana. Perché se evitiamo di guardare in faccia e, ancor più, di vedere le persone, tutto rischia di ridursi a mito o a cifra e, anche, a duro calcolo, e noi smarriamo la possibilità di capire l’autentica portata di qualunque avvenimento e la forza con cui tocca le vite umane.

Penso, insomma, che quella che le piacerebbe veder spiegata nelle scuole della Repubblica sia una genuina lezione di storia e al tempo stesso di educazione civica. Già, di educazione civica: la materia più dimenticata e negletta, nonostante la personale buona volontà di tanti insegnanti, che dovrebbe consegnare ai più giovani la consapevolezza di quanto sia importante – cito le sue parole – «fare ora la loro parte per il bene di tutta la comunità». Io questa lezione l’ho avuta, a scuola, in famiglia, in parrocchia e nelle realtà associative a cui ho partecipato. Mi è stata molto utile: incidendosi nella memoria e ispirando, negli anni, scelte decise e spesso decisive oltre che un approccio concreto e buono ai problemi e alle responsabilità che ho dovuto affrontare. Non sempre ci sono riuscito, non sempre sono stato all’altezza, ma posso dire di essere riuscito pur nei miei errori a non dimenticarmi del volto degli altri e di non aver perso il senso della loro altezza umana, sempre pari alla mia.

Credo, poi, che nel tempo che viviamo, in cui vecchi e nuovi italiani devono imparare in molti modi a vivere e costruire insieme qui e altrove il presente e il futuro, sia estremamente importante apprendere nella maniera più “viva” possibile l’essenziale del passato (recente e più remoto) di questa bella e speciale terra italiana che ci è data in custodia e della gente che la abita, ma anche – insisto – di tutto il mondo e di tutta l’umanità che possiamo immaginare. Perché, alla fine e per principio, ci riguarda allo stesso modo. Ricambio di cuore il suo saluto.

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