Poiché si è aperta anche alla Camera la discussione sull’uso della cannabis, con una eventuale legalizzazione, può essere utile cercare di fare chiarezza per evitare che si confondano argomentazioni che appartengono a problemi diversi. Ad esempio, non si devono mescolare i discorsi sulla cannabis 'ricreazionale' e quella 'terapeutica'. Per la cannabis il problema sul piano teorico è molto semplice. Oggi non possiamo più parlare di cannabis in modo generico perché esistono piante con quantità diverse del principio attivo ( Tetraidrocannabinolo) il cui contenuto può andare dallo 0,5 al 25%, con conseguenti cambiamenti anche degli altri cannabinoli. Si deve perciò trovare un modo per evitare di pensare che la cannabis ricreazionale sia innocua.
Sappiamo in modo abbastanza approfondito che il suo impiego, soprattutto nei giovani, induce in modo scientificamente dimostrato problemi di natura funzionale (deficit di attenzione, apprendimento e memoria), anatomica (modifiche della velocità con cui 'matura' il cervello) ed epidemiologiche, anche a distanza di tempo (aumento delle forme di depressione e psicosi). Dobbiamo quindi cercare di evitare l’impiego di qualcosa che fa male. Forse sarebbe utile organizzare in modo sistematico – cosa mai fatta finora – campagne di informazione capillare e continua per far conoscere i danni della cannabis e confutare l’idea che la cannabis sia una droga 'leggera'. Ciò andrebbe fatto soprattutto attraverso le scuole, gli oratori, le società sportive e i mass media, inclusi i social network. Non si possono lasciare i giovani in balìa di informazioni generiche, come d’altra parte succede per alcol e fumo. Se non facciamo qualcosa di concreto avremo generazioni di giovani preda di questi prodotti con conseguenze difficilmente valutabili, ma certamente negative. Deve essere chiaro che depenalizzazione non significa autorizzazione e tanto meno uno stimolo al consumo. Altro problema è la cannabis terapeutica che spesso si evoca in modo ambiguo per giustificare la cannabis ricreazionale. Con il sistema attuale, sotto il controllo dell’inconsapevole Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, abbiamo ignorato le leggi che determinano l’approvazione di un farmaco.
Abbiamo dato in mano ai farmacisti e ai medici un prodotto di cui non conosciamo in modo formale né l’efficacia né tanto meno la tossicità, perché si tratta di un nuovo farmaco messo a disposizione senza studi adeguati. Sappiamo che alcuni preparati di cannabis sono utili per attenuare gli effetti collaterali della chemioterapia o la spasticità della sclerosi multipla, o come antidolorifici, ma non esistono studi clinici controllati per il farmaco che circola nelle farmacie e che può essere prescritto dai medici per gli ammalati del nostro Paese. È veramente una eccezione alle regole generali che non può essere accettata. Mettiamo a disposizione della medicina uno o più preparati di cannabis, ma decidiamo cosa devono contenere in termini di princìpi attivi, per poter iniziare una sperimentazione che permetta di sottoporre un dossier all’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) per un’approvazione che determini la fine di una situazione che certamente non protegge il diritto alla salute dei cittadini. In definitiva sarebbe bene che la discussione sulla cannabis non comportasse leggi che poi hanno, come spesso accade, molti problemi per la loro interpretazione.
Presidente e fondatore Istituto di Ricerche Farmacologiche «Mario Negri» Irccs