Caro Avvenire,
alcune esternazioni del Papa sono del tutto sconcertanti, fuori ruolo e storicamente errate. Ma chi e perché fa dire al Papa: «I centri di accoglienza immigrati sono come i campi di concentramento»?
Caro signor Bressani, prima di immaginare misteriosi e potenti “suggeritori” del Papa vorrei che si badasse a ciò che esattamente il Papa ha detto. Pochi giorni fa, celebrando una liturgia per i “nuovi martiri” con la Comunità di Sant’Egidio, Francesco ha ricordato un profugo che aveva incontrato sull’isola di Lesbo, e che gli aveva raccontato della moglie, uccisa perché cristiana. «Non so se quest’uomo – aggiungeva Bergoglio – è ancora a Lesbo o è riuscito ad andare altrove. Non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento, perché i campi di rifugiati – tanti – sono di concentramento, per la folla di gente che è lasciata lì». Dunque il Papa aveva in mente i campi della rotta balcanica e, possiamo immaginarlo, quelli libici, non i centri che in Italia accolgono migranti e profughi. È esagerato usare l’espressione “campo di concentramento” per i campi di detenzione in Libia? Beh, non sono certo luoghi dove i giornalisti hanno accesso facilmente, ma l’Unicef, per esempio, proprio due mesi fa ha diffuso un rapporto in cui si descriveva la situazione dei campi del Dipartimento per la lotta alla immigrazione illegale in Libia. Che secondo le stime sono 34, 24 dei quali in mano al governo libico. Questi, peraltro resi accessibili all’Unicef solo nella metà dei casi, sarebbero i “migliori”. I prigionieri intervistati hanno parlato di caldo intenso o freddo estremo patito nelle celle, di mancanza di cibo, di violenze verbali e fisiche operate dai sorveglianti. I bambini rinchiusi insieme agli adulti, le condizioni igieniche carenti, fino a 20 persone stipate in celle di due metri quadrati. E tali sono i campi governativi, cioè i meno peggio. Poi ci sono numerosi centri di detenzione improvvisati da miliziani che vogliono estorcere dai migranti denaro o lavoro forzato o prestazioni sessuali. Questi ultimi, secondo l’Unicef, vengono descritti da chi ci è passato come “buchi infernali” in cui si resta arbitrariamente per mesi, sottoposti a ogni tipo di angheria e brutalità. Sia l’Onu in Libia, che l’Acnur, hanno dipinto in proposito un quadro di violazioni sistematiche dei diritti umani e testimonianze di punizioni e perfino torture, compiute senza nemmeno una apparente ragione. «Non possiamo tollerare una situazione in cui i bambini e le donne spariscono in un abisso infernale, dove vengono molestati sessualmente, sfruttati, abusati e uccisi», ha detto in proposito il vicedirettore generale dell’Unicef, Justin Forsyth. E l’Oim (l’organismo delle Nazioni Unite per le migrazioni), “Avvenire” ne ha dato ampio conto, ha denunciato con decisione la nuova e vasta tratta degli schiavi che fiorisce sulla sponda nord dell’Africa, con prezzi per un essere umano di circa 200 dollari. Come vede, signor Bressani, a documentarsi appena, non sembra che Francesco esageri nel parlare di “campi di concentramento”. Il problema forse sta in chi ascolta, sta in noi italiani ed europei, che non vediamo e non vogliamo sapere ciò che accade oltre il nostro mare. E ci disturba, se la voce del Papa ci richiama a una odiosa verità.