Ansa
È ancora difficile descrivere tutti gli effetti negativi provocati dalla pandemia Covid-19, iniziata nel febbraio dello scorso anno, in quanto il suo andamento a ondate non permette una valutazione conclusiva delle conseguenze, come si era pensato – erroneamente – nell’estate scorsa. Possiamo però affermare con certezza che la pandemia, una volta esaurita la sua onda d’urto, lascerà una società più incerta e impaurita, in profonda crisi economica e occupazionale, una società in cui le diseguaglianze sociali risalteranno in maniera drammatica. I giovani sembrano destinati a un futuro con prevalenti stati d’animo di solitudine, incertezza, stanchezza, difficoltà di concentrazione, preoccupazione, irritabilità, ansia, disorientamento, apatia, scoraggiamento (Indagine Ipsos 2021 per Save the Children).
Secondo il Rapporto Censis 2020, «cinque milioni di italiani hanno difficoltà a mettere in tavola un pasto decente» mentre il 60% degli italiani ritiene che la perdita del lavoro o il calo del reddito sia un evento che potrebbe riguardarli nel 2021. Tra le diseguaglianze più evidenti risulta una riduzione del tasso occupazionale femminile di circa il doppio rispetto a quello maschile. A fine 2019 le persone in povertà assoluta erano 4.593.400, pari al 7,7% della popolazione residente, il doppio rispetto alle stime di dieci anni fa. Il 10% di questi poveri assoluti sono stranieri. I nostri governi hanno messo in atto programmi di stabilizzazione economico-sociale a sostegno della situazione economica, del calo del reddito e della crisi lavorativa dovuta alla pandemia. Questa gestione straordinaria ha portato ai Decreti Ristori, con lo scopo di fornire agevolazioni economiche e fiscali per lavoratori e imprese.
Se è riconosciuto in modo indiscutibile il collegamento tra la salute mentale e la povertà economica, che dimostra come la sicurezza economica sia alla base del benessere mentale, diventa oggi sempre più attuale porsi il quesito di quanto gli investimenti per la salute dell’economia non debbano essere agganciati a una solida base etica, culturale e sociale su cui poggiare la risalita della nostra società e, conseguentemente, la salute mentale. Il rischio che stiamo osservando è che si crei un andamento 'schizofrenico', ovvero una scissione tra la programmazione di continui aiuti economici immediati su base quantitativa e la mancanza di una visione di lungo termine solidamente ancorata a riflessioni di ordine etico-sociale. Diventa perciò oggi irrinunciabile occuparsi anche di un altro tipo di povertà, che abbiamo chiamato «povertà vitale». Una condizione che amplia il concetto di povertà economica, in quanto include in sé, oltre agli a- spetti quantitativi patrimoniali, l’impoverimento delle qualità e delle risorse umane individuali e sociali. Una condizione caratterizzata da sentimenti di vuoto interno, di mancanza di significato della vita, di diffidenza verso il prossimo. Povertà di relazioni, povertà emozionale, perdita dei valori, morali e religiosi, con l’incapacità di progettare una vita ricca di sentimenti costruttivi personali e relazionali, in altre parole 'vitale'.
Esempi della povertà vitale sono i comportamenti del bullismo, che includono nella loro genesi il generale impoverimento delle istituzioni, scolastiche e familiari, e della società in genere. Altro esempio è l’inquinamento relazionale e comunicazionale, sottolineato da papa Francesco nella sua omelia del 1° gennaio 2021: «Il mondo è gravemente inquinato dal dire male e dal pensare male degli altri, della società, di sé stessi. Ma la maldicenza corrompe, fa degenerare tutto». Problema ancora più grave in cui entra in gioco la povertà vitale è l’ormai capillare diffusione dell’aggressività e della violenza nelle relazioni interpersonali: nelle famiglie, in particolare verso le donne e i minori, sulla rete, nei gruppi giovanili. Alla povertà vitale possiamo anche attribuire quell’atteggiamento di squalifica delle competenze altrui, del sapere scientifico che si manifesta con continui attacchi contro le competenze tecniche e scientifiche, alcuni dei quali risultano particolarmente assurdi, come 'il vaccino dell’influenza facilita il contagio del Coronavirus', o anche 'bere alcool protegge dal Covid-19'. Spesso le argomentazioni dei cosiddetti negazionisti sono tanto più ascoltate quanto più paradossali e palesemente infondate.
Il venir meno dell’insegnamento in presenza nella scuola e nell’università sembra favorire, attraverso la mancanza del 'filtro educativo e riflessivo' rappresentato dagli insegnanti e dai compagni, i rischi distorsivi di una informazione acritica e semplicistica che trova nella rete il suo maggior diffusore virale, andando a sostituirsi al sapere- cultura. È probabile che tale situazione trovi le sue radici nell’individualismo, nella presunzione e nella mancanza di rispetto per le esigenze della comunità. Abbiamo perciò bisogno di sviluppare progetti di lungo respiro, in cui non solo dobbiamo occuparci delle problematiche economiche sensu stricto, ma soprattutto individuare quali possano essere i 'ristori' per l’animo e quali gli ingredienti di un vaccino per la salute della mente che ci protegga dalla povertà vitale 'virale', cioè quella ulteriormente aggravata dalla pandemia e caratterizzata, appunto, da una diffusione e disseminazione virale in tutti gli ambiti della vita dell’uomo, anche i più intimi e personali.
In questo anno abbiamo inserito nel nostro linguaggio parole finora poco utilizzate – su tutte il termine «resilienza» – ma, con il passare del tempo, questi concetti stanno perdendo la forza e la novità del loro significato, assumendo a poco a poco l’aspetto di un modo di dire, di una frase fatta piuttosto che di un linguaggio fattuale e propositivo. Allo stesso tempo, concetti ritenuti scontati – quali normalità, incontrare, spostare, toccare, respirare, libertà – diventano traguardi quasi irraggiungibili e sui cui cambiamenti di significato è necessario riflettere insieme.
I ristori dell’animo devono servire a sviluppare un vaccino per la salute della mente o, come l’ha chiamato papa Francesco, un vaccino per il cuore, i cui elementi costitutivi siano princìpi veramente attivi e vitali, come il rispetto, la gratitudine, l’altruismo, l’empatia, il sapere, il conoscere. Il loro effetto, una volta entrati nel nostro animo, è quello di aumentare la capacità relazionale di prendersi cura di sé e degli altri. Sconfiggere la povertà vitale vuol dire cambiare i meccanismi relazionali patologici che l’hanno determinata e ridurre, in ultima analisi, il rischio che questa rappresenta per la salute mentale e la salute sociale. È cercare insieme un nuovo significato al senso della vita, sconvolta dagli effetti della pandemia, è far sì che diventino marginali parole quali incuria, superficialità, egoismo, presunzione, e che un termine come 'gratuito' ritrovi il suo senso più profondo, che è quello in cui in una relazione non si debba sempre creare un vantaggio per uno che sia uno svantaggio per l’altro, e in cui il compenso principale sia la gratitudine.
Angelelli è Direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute
Siracusano è Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Roma Tor Vergata