Caro direttore,
benissimo ha fatto il Papa, tempo fa, a stigmatizzare coloro che provano tanto attaccamento verso gli animali e scarsa considerazione per le sofferenze dei fratelli, dei vicini e di chi ha bisogno. Del resto lo aveva già scritto Jean-Paul Sartre: «Quando amiamo molto gli animali, li amiamo a spese degli uomini». La diffusione così dilagante e quasi ossessiva degli animali domestici nasconde in sé il contagio di una moda. Di una comoda moda: perché un cane non pretende nulla, non ti fa domande, non ti contraddice, non ti critica, non ti impegna culturalmente, non ti manda a quel paese. Una ciotola, una carezza, una cacca... e via! Io diffido di chi ama morbosamente un cane o un gatto, fino a ritenerli come persone di famiglia, facendone oggetto di coccole e attenzioni che si riserverebbero solo a un figlio. Il donarsi agli animali nasconde troppe volte non tanto la diffidenza e la delusione verso gli umani quanto la incapacità ad amare qualcuno della stessa specie, incapacità all’impegno. Capire, amare e gestire un rapporto umano è infinitamente più difficile e faticoso che capire, amare e gestire un bassotto o un siamese. Un cane – ripeto – chiede poco, ma agli uomini bisogna darsi totalmente, con un impegno che richiede risorse intellettive, caratteriali, culturali, in un confronto sempre aperto perché ogni volta imprevedibile, sempre sofferto perché segnato da rinunce e ripieghi, puntellato da compromessi e umiltà, trapassato dai pungoli della propria coscienza e dai tremiti della propria anima. Per questo progressivo distacco dell’uomo dall’uomo, a favore degli animali, la società moderna si è attrezzata: animali sulle spiagge, nei bar, negli alberghi, ovunque, senza rispetto alcuno per il decoro (chi raccoglie le cacche?), per la salute del prossimo e i sussulti di chi ne ha paura e non ne ha dimestichezza. Ci impongono di trattarli come esseri umani. Potrei essere d’accordo, anche se sono molto più indignato per quegli esseri umani spesso trattati come bestie. A questo punto “vita da umani” sarebbe molto più calzante del compassionevole “vita da cani”.
Edgardo Grillo
Gentile direttore,
l’Italia, vista da fuori, pare avvolta in una cappa di depressione, rabbia, svilimento, e gli italiani paiono risucchiati in un vortice di sfiducia e di rancore. E si cercano capri espiatori (i migranti), e si scaricano tutte le responsabilità sulle istituzioni, che di responsabilità certamente ne hanno, ma non così tante da meritarsi questo continuo accanimento a furor di popolo. Dove la terra non trema è la demografia che crolla e al posto dei bambini si comprano cani, a cui vengono assegnati nomi umani, e gli amici dei padroni vanno a complimentarsi, portano doni di benvenuto. Manca solo il fiocco azzurro o rosa fuori dalla porta. È l’inesorabile declino italiano ed europeo, dove la crescita, non solo quella economica, è pari a zero, o meglio dove la decrescita (infelice) pare inarrestabile. Non solo decrescita economica, ma anche demografica, valoriale, spirituale, culturale. È una crisi antropologica quella delle società europee. L’Europa o la salvano i migranti (con tutto il rischio che ciò comporta), oppur muore.
Giuseppe L. Mantegazza
Caro direttore,
per allenare la memoria mi diletto ogni tanto a esercitarla con “La Settimana Enigmistica” e in quella del 4 agosto, risolvendo un anagramma, ho letto il sotteso pensiero di Dante Alighieri: «Tre cose sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori e i bambini». Se il Sommo Poeta fosse tra noi penso proprio non menzionerebbe i bimbi perché le nostre culle sono semivuote. In internet tante persone postano fotografie del loro cane al quale hanno fatto vivere gli ultimi giorni della loro vita nel modo più sereno possibile, prima di salutarli per sempre. E vi assicuro che ci si commuove nel vedere l’affetto, la sollecitudine, gli sguardi dolcissimi di queste creature con i loro padroni; manca soltanto la parola, ma i gesti e le espressioni dicono tutta la profondità di un rapporto di vita insieme. Io stessa ho avuto per tantissimi anni un gatto siamese molto affettuoso, tanto da avere il medesimo comportamento di un cane. Ti veniva vicino quando non stavi bene, si avvicinava alla porta quando qualcuno di noi saliva sull’ascensore e, come facesse a riconoscere la nostra presenza, è sempre stato un mistero per noi! Ho pianto molto quando è morto e tuttora sento la sua mancanza, nonostante sia passato molto tempo. Quella che mi stupisce è che la maggioranza di noi si riconosce negli stessi sentimenti, attaccamenti, sensibilità tra l’uomo e l’animale e non li prova o non li considera nei confronti del cucciolo dell’uomo. Come è possibile che si rimanga indifferenti ai tanti aborti che ogni giorno si praticano nelle stanze asettiche degli ospedali sorti appositamente per salvare vite il più possibile e per aiutare a far nascere la vita! Sono cresciute le Associazioni dei volontari attenti a controllare i canili, a denunciare coloro che uccidono gli animali, a riunirsi a loro difesa. Come è possibile che la lodevole e umana pietà verso gli animali ci abbia trovato d’accordo ma se qualcuno insorge per difendere il cucciolo dell’uomo non riesce a trovare sostenitori così numerosi e visibili per sorgere in loro difesa? Che cos’è che ci fa chiudere gli occhi su questa tremenda verità?
Flora Bresciani
È vero: ci sono verità con le quali non si può fare a meno di fare i conti. E sono tremende e dolci. E per quanti sforzi si facciano per attutirne la forza, tali restano: dolci e tremende. Una di queste, la più evidente, a volte dolente, ma – anche per me – davvero entusiasmante e, dunque, “mobilitante” è che la vita merita di essere amata integralmente. E vale, vale sempre, vale più di tutto. Parlo di tutta la vita, la vita di chiunque, di ogni donna e di ogni uomo, di ogni bambino nato o non nato, ma anche di ogni essere che popola la «casa comune» che noi credenti sappiamo esserci stata affidata da Dio e della quale ogni altra persona capace di usare testa e cuore si sente, ugualmente e interamente, responsabile. Niente di ciò che è vivo può essere sprecato, disprezzato, cosificato e annientato con leggerezza o pesante sussiego.
Trovo che le vostre tre riflessioni, cari e gentili amici, pur diverse tra loro abbiano alla base questa stessa consapevolezza, anche se accenti e argomentazioni e conclusioni suonano in modo differente: polemiche con l’eccesso di amore per gli animali (Grillo), sofferenti per la letterale perdita di umanità del nostro Paese in sboom demografico (Mantegazza), compassionevoli e ferite per l’incapacità di “vedere” sino in fondo la tragedia dell’aborto così spesso travestita da “diritto” (Bresciani). Vi ringrazio perché mi avete fatto pensare di nuovo, e a fondo, a questioni che mi sono care e che motivano battaglie ideali che affronto ormai da una vita. E questo mi ha fatto bene, mi ha fatto reagire, mi ha indotto a leggere e rileggere i vostri testi. Penso che insieme, in sequenza, appoggiandosi l’una all’altra, le vostre parole si illuminino a vicenda e trovino più utile e stimolante armonia, buona nelle intenzioni e nelle conseguenze. Qui aggiungo solo una mia personale considerazione.
Nessun vero amore, nessuna vera dedizione, nessuna vera tenerezza e vera fedeltà alle quali facciamo spazio nei nostri giorni è eccessiva. Niente di tutto ciò toglie nulla all’amore che più conta, cioè all’amore che dà origine e senso alla vita. Ma lo interpreta, e lo semina. Perché l’amore è uno, e non esclude nessuno. E io continuo a sperimentare ciò che mi è stato insegnato, e cioè che amare gli animali è sempre una cosa molto buona e, in sé, è perfettamente coerente con l’amore cristiano. Essere cresciuto ad Assisi, per così dire da “vicino di casa” di san Francesco e santa Chiara, mi ha aiutato a maturare questa serena comprensione. E mi rendo conto che la Laudato si’, enciclica di un Papa che si è dato il nome di Francesco, è ora una spinta formidabile a tradurre questa chiarezza in azione, cioè in uno stile di vita che faccia buona compagnia al mondo e lo “usi”, amando e rispettando ogni forma di vita, a cominciare naturalmente dai nostri fratelli e sorelle in umanità (concittadini e stranieri, figli e migranti, simpatici e scomodi, poveri e ricchi, cristiani e no…).
Credo che sia questa la maniera che ci è data, qui e ora, per accordarci con Dio, cioè letteralmente per far battere il nostro cuore assieme al Suo. Per questo penso anche che se un amore – qualunque amore: per una persona, un cucciolo, una patria, persino per Dio – sottrae, esclude, mistifica e mortifica, lo si può chiamare nei modi più teneri o vibranti e consacrarlo nelle maniere più solenni e coinvolgenti, ma non è – e non sarà mai – vero amore. Mentre non è, e non può diventare, sbagliato o “di troppo” un amore che genera e accoglie, che si rivela capace di fare più buono e bello lo stare al mondo di tutti: il nostro, del «prossimo» che Cristo ci insegna ad aver caro come noi stessi e di tutti i viventi che, assieme a noi, abitano la «casa comune». Insomma: il nostro problema non è l’eccesso di amore per creato e semplici creature, ma la mancanza di generosità, di coerenza e di coraggio che ci porta magari a definire, coltivare e condividere una rigorosa e correttissima idea di «umanità», ma a fare fatica ad accogliere e amare le concrete persone che l’umanità costituiscono. Accade con chi non ha nulla e bussa alle nostre porte, accade persino coi figli. E questo è il punto.