venerdì 29 novembre 2024
Sarà una carestia di desideri che preparerà, prima o poi, la fine di questo nuovo culto globale. La speranza è che nel frattempo, da qualche parte, siano sopravvissuti comunità e doni veri
Il Black Friday a Oxford Street, a Londra

Il Black Friday a Oxford Street, a Londra - REUTERS/Hollie Adams

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Tra le molte feste della religione capitalista il black friday è quella che presenta una “purezza cultuale” perfetta che ci consente di capire dimensioni di questa nuova religione che vediamo con minore limpidezza in altre feste ormai trasformate e assimilate, come il nuovo Natale o il vecchio Halloween.

Innanzitutto, dobbiamo tener presente che la mentalità del consumo fa parte di ogni esperienza religiosa. Il culto, la liturgia, sono sempre state anche esperienze di soddisfacimento di bisogni del corpo, non solo dell’anima. Basti pensare anche ad una messa cattolica dove tutti i sensi sono stimolati: udito (canti), vista (arte), olfatto (incensi), gusto (pane e vino), tatto (statue di santi). Nelle religioni la dimensione spirituale è solo una tra le tante, e nemmeno quella più importante. I nostri nonni che riempivano le chiese (le nonne soprattutto) e popolavano le feste religiose, non erano interessati alla mistica né all’ascetica. Non cercavano la contemplazione delle realtà celestiali. La messa domenicale e le altre feste di precetto erano soprattutto la celebrazione del legame sociale, della vita, un’esplosione di corpi, di abbracci, di danze, di grandi pasti collettivi, di eccesso, di spreco, di dépense (diceva Bataille), di trasgressione, del bisogno di un giorno diverso. I santi e Dio erano la scusa per fare la festa e le processioni, ma i protagonisti principali della festa erano altri.

Se lo guardiamo bene, il black friday presenta infatti tutti i caratteri antropologici e sociali degli antichi culti religiosi. Il primo riguarda la stessa importanza essenziale delle feste. Il cristianesimo non divenne christianitas per l’Editto di Milano del 313. Non lo divenne neanche per la teologia, né per i libri e i dogmi. L’operazione decisiva fu l’occupazione prima dei vecchi templi greco-romani e, poi, soprattutto, la sostituzione delle vecchie feste popolari romane, celtiche, etrusche, picene, sabine ... La cultura nasce dal culto, ci ricordava nel 1922 Pavel Florenskij. E cultura significa processioni con baldacchini da trasportare e i fuochi da sparare, oggetti da toccare con le mani, statue da bagnare con le lacrime, e la loro ripetizione ciclica annuale.

Anche il black friday è nato come festa di processioni (davanti ai negozi), il bisogno di toccare l’oggetto, lacrime per aver ottenuto l’oggetto tanto desiderato, una festa popolare molto affollata. Negli ultimi anni, però, si stanno verificando importanti novità, che ne stanno velocemente cambiando la natura. Prima però soffermiamoci su un elemento da non sottovalutare.

Il mondo cattolico, soprattutto con la Controriforma, ha molto accentuato la dimensione del consumo nel culto e nella liturgia – si pensi alla messa, dove il sacerdote “produce” il bene (eucarestia) che il popolo ‘consuma’. La cosiddetta “cultura della vergogna”, sempre attiva e dominante nei Paesi latini, ha creato un ambiente economico dove le persone competevano soprattutto attraverso i beni di consumo “vistosi” (vestiti, case, auto... ), e non tramite il lavoro come accadeva invece nei Paesi protestanti. Tutto ciò ha creato una particolare predisposizione del mondo cattolico per la nuova religione del capitalismo da quando, negli ultimi decenni, questa ha spostato il suo centro dal lavoro al consumo.

Da qui un ennesimo paradosso: la religione capitalistica è nata nei Paesi calvinisti ma sta conquistando soprattutto quelli cattolici – e sempre più velocemente i vari Sud comunitari del mondo. Il black friday piace molto più a noi che agli olandesi o agli svizzeri. Si comprende allora dove si trovi un primo problema decisivo. Il mondo cattolico è culturalmente meno attrezzato per riconoscere l’insidia di queste feste della nuova religione fondata sul consumo che sta eliminando le ultime vestigia di cristianesimo, di cattolicesimo in particolare – mi chiedo quanti cattolici praticanti hanno fatto “obiezione di coscienza" al rito di questo venerdì?

Quanti negozi dell’economia sociale o cooperativa hanno resistito alla seduzione del nuovo culto? Il culto consumista sta svuotando l’anima dei cristiani molto più radicalmente di quanto non abbiano fatto tutti i comunismi e i socialismi della storia.

Il black friday ha poi delle sue tipicità, antiche e nuove. La prima è una forma inedita di politeismo. Per capirlo occorre prendere coscienza che il dio-idolo adorato è il consumatore, non l’oggetto che si acquista. Quindi gli “dèi”, i consumatori sovrani e idoli, sono milioni, ormai miliardi. Ce lo rivela un elemento fondativo di ogni religione: il sacrificio. Gli sconti del black friday sono quasi sempre veri, non finti. A dirci che chi in questo giorno si sacrifica non è il consumatore per l’impresa ma l’impresa che compie l’offerta (si noti il linguaggio) a vantaggio del suo consumatore-dio. Un sacrificio controllato, piccolo, omeopatico, che, come ogni omeopatia, ha lo scopo di immunizzare dalla malattia: un piccolo sacrificio, che somiglia al dono, un donuncolo, affinché il capitalismo possa immunizzarsi dal dono vero, che è il virus di cui ha una paura tremenda.

La seconda novità riguarda la fine della dimensione comunitaria di questa nuova religione. Finora abbiamo conosciuto soltanto religioni comunitarie. Ma ormai l’oggetto non lo compriamo più nei negozi-templi affollati, in processione, come avveniva all’inizio; ormai ci arriva, docile e veloce, a casa con un semplice clic (e una carta di credito), senza incontrare nessun umano lungo il cammino. Con l’intelligenza artificiale questo individualismo diventerà totale.

Infine, la terza novità. Quest’anno, durante la novena di preparazione della festa era sempre più comune leggere: “Fatti un regalo per il black friday”. Le feste cristiane erano centrate sui doni da fare a qualcuno e da ricevere da qualcun altro; oggi c’è la celebrazione del self-love, che è la vera fine dell’umanesimo cristiano del dono. Il self-regalo è l’apoteosi dell’idea arcaica del regalo (da rex, regis), cioè offerte da fare al re, con un elemento davvero inedito: l’unico sovrano è l’individuo che fa offerte a se stesso, il donatore coincide col donatario.

In questa cancellazione di doni veri si trova il tallone d’Achille della religione del consumo: il desiderio. Nessun desiderio può essere davvero appagato da merci, tanto meno da self-regali, perché l’essenza del desiderio è desiderare qualcuno che ci desidera, desiderare un desiderio, che nella fede cristiana raggiunge la sua apoteosi in un Dio che ci desidera. Le merci che diventano doni ci piacciono molto perché sono sacramento di una persona che ci ama e ci desidera; e ogni volta che guardiamo quell’oggetto, vi rivediamo gli occhi, l’odore e il sapore di chi ci ha amato: nel self-regalo sentiamo soltanto l’odore e il sapore di noi stessi, infinita tristezza.

Grazie a Dio, le merci hanno molte virtù, ma non sanno desiderare. Sarà una carestia di desideri che preparerà, prima o poi, la fine di questo nuovo culto globale. La speranza è che nel frattempo, da qualche parte, siano sopravvissuti comunità vere, doni non-omeopatici, desideri grandi, Dio.

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