martedì 9 ottobre 2012
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«Quando ho visto l’embrione, mi sono reso conto all’improvviso che c’era solo una piccola differenza fra lui e mia figlia. Ho pensato che non possiamo continuare a distruggere embrioni per la nostra ricerca. Ci deve essere un’altra strada». Era l’11 novembre 2007 quando al New York Times lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka raccontava quell’intuizione che ieri gli è valsa il premio Nobel: le cellule staminali riprogrammate, le cosiddette Ips (staminali pluripotenti indotte), che si ottengono senza distruggere embrioni. Si tratta di cellule adulte che, sottoposte a manipolazioni genetiche, sono in grado di "ringiovanire" e tornare "bambine", a uno stadio analogo a quello delle staminali embrionali. Yamanaka è cioè riuscito a mettere a punto una procedura abbastanza semplice secondo la quale cellule mature specifiche, come quelle della pelle, possono essere "riprogrammate" per tornare indietro nel tempo fino allo stadio più precoce – embrionale – dal quale poi si possono di nuovo differenziare in tutti i tipi di cellule e tessuti del nostro corpo.Anche John Gurdon, l’altro premio Nobel di ieri, ha lavorato sulla riprogrammazione cellulare negli anni Sessanta usando per le rane la tecnica di clonazione che ha poi consentito la nascita della pecora Dolly, un metodo abbandonato cinque anni fa proprio da Ian Wilmut, il "padre" di Dolly, perché fallimentare: sui mammiferi – la "resa" è intorno al punto percentuale – mentre sui primati non funziona. Inoltre, a tutt’oggi al mondo non esiste una sola cellula staminale embrionale umana ricavata con questa procedura. La cosiddetta "clonazione terapeutica", cioè la clonazione utilizzata per produrre embrioni da distruggere per ricavarne staminali, applicata agli esseri umani si è rivelata un clamoroso fiasco.Con la procedura inventata da Yamanaka si è sfruttata la plasticità delle cellule scoperta da Gordon, cambiando strategia: ora è possibile ottenere staminali embrionali da cellule adulte, in grandi quantità, con lo stesso patrimonio genetico, senza distruggere embrioni, e, soprattutto, è bene ricordare che l’esperimento con cui lo scienziato giapponese ha dimostrato l’esistenza e le proprietà delle Ips è stato condotto interamente sui topi.La riprogrammazione cellulare mediante clonazione, prima, e produzione di Ips, poi, è stata cioè realizzata lavorando esclusivamente su animali: creare, manipolare e distruggere embrioni umani in laboratorio non era affatto un passaggio necessario per il progresso della ricerca scientifica in questo settore, come la martellante e bugiarda campagna ideologica internazionale ha cercato di farci credere in tutti questi anni. La pervicace volontà di creare embrioni umani per farne materiale da bancone di laboratorio non ha infatti niente a che fare con la ricerca scientifica, ma solo con l’arroganza di chi vuole dimostrare di essere in grado di disporre della vita umana a proprio piacimento; di chi vuole esserne, in fondo, il «padrone». La scienza con la distruzione degli embrioni umani non c’entra, così come per la loro difesa non è indispensabile la fede ma è sufficiente – o dovrebbe esserlo – il laicissimo "principio di precauzione", per il quale nel dubbio che quelle cellule siano qualcosa di più che mero "materiale biologico" uno scienziato decide non di non fare, ma di fare altro, di trovare percorsi alternativi. C’è poi chi pensa che il criterio per rendere lecita una ricerca sia la quantità di informazioni che se ne potrebbero trarre, e per questo motivo approva la distruzione degli embrioni in laboratorio: ma allora si dovrebbe coerentemente concludere che tutte le limitazioni alle sperimentazioni umane sono sempre limitazioni alla ricerca scientifica, di per sé. È indubbio che esperimenti su esseri umani, condotti senza vincoli, potrebbero produrre conoscenze maggiori rispetto a quelle che si ottengono oggi con sperimentazioni regolate da convenzioni internazionali e comitati etici proprio per evitare gli orrori scaturiti da quelle inumane nei campi di sterminio (che comunque davano informazioni).La comunità scientifica ha dato il massimo riconoscimento possibile alla scoperta di Yamanaka: è il momento di un giudizio finalmente condiviso, da parte di tutti i protagonisti del dibattito pubblico e politico, sulla saggezza della nostra legge italiana sulla fecondazione assistita, che non consente di distruggere embrioni in nome della scienza. È l’ennesima occasione per poter chiudere un capitolo di lacerazioni e bugie, e smetterla con polemiche puramente ideologiche, senza alcun fondamento scientifico, almeno riguardo l’uso degli embrioni umani in laboratorio. I veri paladini della scienza dovrebbero compiacersi di questo risultato.
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