Gentile direttore, da anni Avvenire spiega come l’eccesso di offerta di gioco crei problemi di natura sociale e che sia necessario proibire la pubblicità del gioco, in qualunque modo e forma. Peraltro alcuni, anche nel settore, ritengono che ciò sia condivisibile, in presenza, però, di regole uguali per tutti. In ogni caso questo aspetto fa parte di un confronto civile sui contenuti. Ma passare da questo ad ascrivere comportamenti non leciti a un’azienda, assolutamente legale e per di più concessionaria dello Stato, non è in alcun modo condivisibile. Per questo, e solo per questo, le inviamo la seguente precisazione in relazione agli articoli pubblicati in data 12 e 13 ottobre 2016 a firma di Antonio Maria Mira. (VEDI) L’affermazione che Gamenet è stata «oggetto di inchieste in materia di gioco illegale e riciclaggio» è totalmente falsa e destituita di ogni fondamento, così come gli ulteriori elementi rappresentati al riguardo sull’azienda. In particolare non vi è stato alcun coinvolgimento di Gamenet nell’ambito delle procedure giudiziarie relative al clan 'Valle-Lampada', tanto che la stessa non è stata assolutamente ed in alcun modo parte del processo. Per quanto riguarda le vicende citate nell’articolo in relazione a Intralot, si specifica la stessa è stata considerata dall’autorità giudiziaria parte lesa. Non risponde a verità il fatto che Gamenet e Intralot presentino tasse non pagate per 60 milioni di euro. Così come gli altri concessionari, Gamenet ed Intralot hanno versato tutti gli importi da loro dovuti oltre a tutte le somme ricevute dalla filiera in relazione al comma 649 art. 1 della Legge di Stabilità 2015, salvo le quote dovute dalla filiera e non riversate ai concessionari.
Ufficio stampa Intralot Ufficio stampa Gamenet
Accolgo con interesse questa richiesta di precisazione di Intralot e Gamenet, aziende collegate in uno stesso gruppo multinazionale, anche se riguarda questioni che ai nostri lettori sono già chiare per l’accuratezza dell’informazione data attraverso gli articoli del collega Mira (al quale lascio le sottolineature di merito). Qui mi limito a ricordare che Intralot, concessionaria anche in Italia per scommesse e slot machine, è diventata attraverso un’intesa con la Federcalcio «premium sponsor» di tutte le nostre squadre nazionali di calcio (dall’Under 15 alla nazionale maggiore secondo l’annuncio dei dirigenti della Figc) e, per questo, è al centro della campagna informativa che stiamo sviluppando dolendoci per la «Vergogna Azzurra» rappresentata dall’abbinamento propagandistico tra il gioco sportivo più amato e seguito nella sua massima espressione e l’azzardo, che invece non è un gioco e la cui pubblicità è tra l’altro «vietata ai minori». Apprezzo che i colleghi dei due Uffici stampa che scrivono questa lettera si rendano conto della serietà della nostra battaglia per lo stop totale alla pubblicità dell’azzardo che è parte integrante e cruciale di quella, più ampia, per tornare ad arginare il dilagare di questo 'non-gioco' negli ultimi quindici anni. Si tratta di una battaglia disarmata e civile, ma decisa e documentata, perché queste sono le regole della casa e i 'registri' informativi che ci appartengono. Detto questo, lascio la parola al mio collega Mira. Marco TarquinioRisponde Antonio Maria MiraIl virgolettato citato nella 'precisazione' dei colleghi degli Uffici stampa di Intralot e Gamenet è una frase dei parlamentari Franco Mirabelli e Stefano Vaccari, componenti della Commissione Antimafia, e questo è spiegato con chiarezza nell’articolo del 13 ottobre. La frase fa riferimento, anche questo è riportato nell’articolo, a quanto è scritto nella 'Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito' approvata all’unanimità dalla stessa Commissione bicamerale tre mesi fa. Non abbiamo invece mai scritto che Gamenet sia stata «parte» del processo 'Infinito' al clan Lampada-Valle. Questa società e alcuni suoi dipendenti sono ampiamente citati negli atti, che sono documenti pubblici. Nulla di penalmente rilevante, sicuramente, anche se il gip di Milano scrive che «abbiamo un concessionario che è perfettamente a conoscenza del fatto che una delle sue controparti – nella specie Francesco Lampada (e relativa famiglia) – è finito arrestato per associazione mafiosa e usura». E aggiunge, con una notazione forte e anch’essa agli atti, che «Gamenet, che dovrebbe essere il controllore, non controlla veramente nulla e pensa solo a portare a casa i soldi». Valutazione analoga a quella dei magistrati napoletani nell’inchiesta 'Golden gol'. Anche in relazione a questa vicenda su 'Avvenire' non è mai stato scritto che Intralot risulta direttamente coinvolta, è stato scritto che sono stati arrestati alcuni suoi operatori dai quali – cito le parole usate nell’articolo – la società «aveva subito preso le distanze, sospendendo i suoi dipendenti». Le nostre cronache, insomma, sono sempre e solo attinenti a fatti e a documenti. E questo vale anche per l’ultimo punto della vostra precisazione. Prendiamo atto dell’affermazione che Intralot e Gamenet avrebbero pagato la loro quota della cosiddetta 'tassa dei 500' milioni, ma anche del fatto – come peraltro scritto su 'Avvenire' – che una parte di quella tassa (il 'salvo' finale della lettera) le due società ritengono di non doverla pagare. Per questo – citiamo ancora da 'Avvenire' – è stato «legittimamente» fatto ricorso sia al Tar sia alla Corte costituzionale. Solo che questa resistenza giudiziaria è per l’intero importo di spettanza, cioè – appunto – 60 milioni. Seguiremo con attenzione sviluppo ed esito del contenzioso. Riguardo a questo comportamento abbiamo riportato il parere del sottosegretario all’Economia con delega ai giochi d’azzardo, Pier Paolo Baretta, il quale in riferimento agli importi non versati ha affermato che «chi non li pagherà sarà fuori legge». Abbiamo anche registrato che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha inviato a Intralot e Gamenet, così come agli altri 11 concessionari, una lettera che preannuncia denunce alla magistratura ordinaria e contabile in caso di perdurante mancato pagamento. Anche qui si tratta di fatti e prese di posizione veri e verificati.
Antonio Maria Mira