Parenti di soldati in piazza Santa Sophia a Kiev - Fotogramma
L’11 luglio è un giorno doppiamente simbolico per l’Unione Europea. Per la comunità cristiana è la memoria del Santo che gli europei hanno eletto a loro patrono, San Benedetto, noto al mondo intero per l’equilibrio profondo di una regola semplice: ora et labora, prega e lavora, l’equivalente di “prega e ama”. Per la comunità politica sono i giorni della memoria collettiva di una strage avvenuta nel cuore del Vecchio continente sotto gli occhi impotenti di mamme, mogli, figlie e militari Onu: la strage di Srebrenica, la mattanza di 8.000 uomini bosgnacchi, bambini, ragazzi e adulti, iniziata l’11 luglio 1995 e conclusasi il 22 luglio, ad opera del generale serbo Mladić. Fu proprio per la vergogna e la paura di ciò che stava accadendo nei Balcani, nel silenzio assordante della comunità internazionale, che un giovane politico ecologista, Alex Langer, gridò al mondo intero che l’Europa sarebbe morta o rinata a Sarajevo, chiedendo l’istituzione dei Corpi Civili di Pace al fine di sanare quelle ferite sanguinanti.
Trent’anni dopo l’Europa è di nuovo sconvolta da eccidi e mattanze: intere città ucraine sono prese di assalto da una potenza militare straniera, gli uomini stanno morendo a migliaia nella resistenza, le donne stanno lottando come possono per mandare avanti la vita quotidiana sotto le sirene costanti degli allarmi aereo, i bambini ed i ragazzi convivono con la guerra. A Bucha, Irpin, Borodjanka, Mariupol, Izyum, Odessa, Karkhiv si ripete la tragedia di Sebreniča da 818 giorni.
Cosa può fare la società civile europea di fronte al perdurare di questa ingiustizia violenta che colpisce i suoi fratelli e sorelle alla frontiera e che nessuno riesce a fermare? Il Mean, Movimento europeo di azione nonviolenta, chiede con insistenza, e con la sua frequente presenza in Ucraina, che l’arsenale di pace UE venga dotato al più presto di un vero Corpo Civile di Pace, composto da personale esperto e personale volontario, capace di intervenire prima, durante e dopo un conflitto armato. Chiede che il Consiglio Europeo adotti al più presto una misura forte e chiara per l’istituzione e il finanziamento dei Corpi civili di pace. Ma non basta. Per una comunità civile il cui pensiero secolare è fortemente intriso dell’intima comunione con Gesù Cristo, non basta fare una richiesta, anche insistente, e poi fermarsi ad attendere che la diplomazia degli Stati faccia il suo corso. Ora et labora, prega e lavora: l’invito che la Nunziatura Apostolica a Kiev, insieme al Mean, volge a tutti i movimenti cattolici europei è di venire in massa a pregare in piazza Santa Sophia, a Kiev, l’11 luglio, per chiedere insieme che l’aggressione si fermi, che la pace torni presto sulla terra martoriata dell’Ucraina, che i droni si trasformino in vomeri per i nostri campi e gli uomini si riconoscano fratelli. Il Signore ha detto che dove due o più persone si riuniscono nel Suo nome, lì c’è anche Lui con loro; Gesù ci ha invitato a credere così tanto nella preghiera da esortare i suoi apostoli con parole chiare: basterebbe la fede di un granello di senape per spostare le montagne. Come popolo di Dio vogliamo incontrarci fisicamente e non solo idealmente qui a Kiev per dire al Signore con il salmista “porgi il Tuo orecchio, Signore”, ascoltaci. E con l’umile Maria vogliamo gridare il nostro Magnificat al cielo.
Non si tratta solo di preghiera: c’è bisogno di unire le menti e i cuori, per cercare insieme i percorsi in grado di dare un contributo efficace dove non sono sufficienti, da sole, le iniziative politiche e diplomatiche. Insieme si prega, si riflette, si parla e si lavora, per non rimanere ciascuno solo e impotente di fronte alle tragedie umane, ma uniti come fratelli, tra noi e agli occhi di Dio. Quello stesso Dio che viene oltraggiato dalla guerra, e che, al contrario, gioisce quando i suoi figli e le sue figlie sanno stare insieme.
Nunzio apostolico a Kiev
Portavoce Movimento europeo di Azione nonviolenta