sabato 20 luglio 2019
Dopo la nostra intervista a Giovanardi, schierato da sempre a fianco di famiglie emiliane a cui erano stati sottratti figli dati in affido, scrive la ex presidente dei Tribunali dei minori...
«Angeli e Demoni» quante ferite aperte in grandi e piccoli
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Signor direttore, leggo su Avvenire del 9 luglio 2019 l’articolo: «I figli innocenti “rubati”. Ho denunciato. Invano» in cui I’ex parlamentare Carlo Giovanardi ricollega fatti che sono oggetto dell’inchiesta in corso alla Procura della Repubblica di Reggio Emilia (riguardanti bambini della val D’Enza allontanati dalle loro famiglie e affidati a terzi) con quelli avvenuti in provincia di Modena, dei quali si era occupato il Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna, che ho presieduto dal 1997 al 2004. Rilevo che nella ricostruzione delle vicende avvenute ormai vent’anni orsono l’ex parlamentare si dichiara dalla parte dei genitori e di altri accusati in sede penale. I fatti citati nell’articolo e i provvedimenti del Tribunale per i minorenni (emessi dal 1998 al 2000 e sottoscritti anche da me) sono stati portati all’esame della Cedu che ha respinto le domande proposte dai genitori dei minori e ha riconosciuto la legittimità delle predette decisioni. Si veda la pronuncia Cedu del 9 maggio 2003, divenuta definitiva il 24 settembre 2003 (ricorso n.527 63 I 1999 Covezzi, Morselli vs. Italia). Quanto al colloquio telefonico di cui parla l’onorevole Giovanardi, ricordo di aver parlato una sola volta con lui che mi aveva telefonato per avere notizie su un procedimento (diverso da quello Covezzi) riguardante la situazione di una bambina la cui madre era stata segnalata come scarsamente adeguata. Io non diedi le notizie richieste, coperte da segreto d’ufficio, e dissi al mio interlocutore che avrebbe potuto chiedere informazioni al difensore della madre. Quanto alle dichiarazioni estrapolate liberamente da interviste da me rilasciate vent’anni fa, il loro senso, per quanto posso ora ricostruire, era riaffermare la competenza del, Tribunale per i minorenni a svolgere indagini quando i bambini mostrano sintomi che possono essere indizi di condizioni di vita familiare inadeguate (art. 333, 336 Cod. Civ.). Le notizie diffuse dalla stampa, anche dal suo quotidiano, sulle indagini in corso a Reggio Emilia rischiano di fare apparire scontati e accertati comportamenti che allo stato sono ipotesi accusatorie oggetto di indagini. Chi voglia fare buona opera di informazione, anche nell’interesse dei minori, dovrebbe muoversi con molta cautela in questa materia particolarmente delicata, che richiede prudenza e attenzione da parte di chiunque se ne occupi.

Elisa Ceccarelli già presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna

Gentile dottoressa Ceccarelli, leggo la sua lettera inviata al Direttore e relativa all’intervista da me raccolta in cui l’ex senatore Carlo Giovanardi ripercorre gli eventi accaduti dalla fine degli anni 90 e noti come 'I diavoli della Bassa Modenese'. Lei rileva che l’intervistato sta «dalla parte dei genitori e di altri accusati in sede penale» ed è vero, essendosi Giovanardi sempre battuto apertamente per i coniugi Lorena e Delfino Covezzi: nella notte del 12 novembre 1998 i loro quattro bambini furono portati via da casa e non fecero più ritorno, nemmeno quando i genitori furono assolti per non aver commesso il fatto. Nello stesso periodo furono 16 i bambini allontanati, i cui genitori a volte furono condannati sulla base dei racconti dei bambini interrogati dai servizi sociali di Mirandola, a volte assolti, a volte morirono di crepacuore o suicidi. Ora sta partendo la revisione dei processi e sarà la giustizia a prendere nuove decisioni o a convalidare le precedenti: com’è nostro stile registreremo i fatti, senza 'processi mediatici'. L’inchiesta recentissima di Reggio Emilia ('Angeli e Demoni') e i fatti del Modenese di 20 anni fa si ricollegano da soli, perché gli operatori oggi indagati sono in parte gli stessi nell’una e nell’altra vicenda. La scuola di pensiero è la stessa. Anche la onlus Hansel e Gretel è la stessa, e lo psicologo di riferimento Claudio Foti (fino a giovedì ai domiciliari con l’attuale moglie per i fatti di Reggio Emilia, oggi sottoposto a obbligo di dimora) era allora marito della psicologa Cristina Roccia, che agiva come perito nel caso di Modena. È vero che l’intervista rievoca fatti di 20 anni fa, ma il dramma non appartiene al passato: nonostante le assoluzioni, infatti, pochissimi dei bambini un tempo allontanati hanno voluto rivedere i familiari, essendo ormai indelebilmente convinti di aver davvero subìto e addirittura compiuto atti di satanismo, di aver decapitato bambini e aver bevuto il sangue, scoperchiando lapidi ed entrando nelle bare... fatti che già la gente del posto aveva da sempre dichiarato inesistenti (nessun bambino mancava all’appello!), ma che poi anche la Cassazione dichiarò mai avvenuti. L’inchiesta di Reggio Emilia invece è in corso, dunque ci atteniamo strettamente alle accuse scritte dal Gip in 277 pagine di ordinanza, ma se le numerose intercettazioni e le «manipolazioni delle menti» dei piccoli risultassero accertate, i 20 anni trascorsi dall’allontanamento di bambini da genitori poi assolti nel Modenese renderebbero più gravi quei fatti. Di recente a 'Chi l’ha visto' su Rai3 quei bambini di allora, oggi adulti, hanno tremato e pianto mentre 'ricordavano' di aver commesso quegli omicidi mai avvenuti: ancora oggi da giornalisti e cittadini ci chiediamo ciò che 'Avvenire' si chiese 20 anni fa, e cioè se il tanto discusso metodo con cui venivano interrogati, secondo l’accusa lo stesso utilizzato a Reggio Emilia, non sia una seria concausa di questa tragedia. La pronuncia della Cedu (maggio 2003), che respinse le istanze presentate nel 1999 dai genitori dei bimbi allontanati, si basa sui fatti di cui si era a conoscenza allora, cioè sui presupposti che all’epoca erano allarmanti: non c’erano ancora i video emersi di recente con l’inchiesta giornalistica 'Veleno', che rivela come avvenivano gli interrogatori dei bambini da parte di operatori ora indagati, non c’erano dubbi sul metodo. Inoltre la Corte non stabiliva innocenza o colpevolezza, doveva solo valutare se nell’allontanare quei bambini fossero stati violati gli articoli Cedu sull’allontanamento dei minori. Da una parte c’erano le parole dei genitori Covezzi (quelli che nel 2014, dopo ben 15 anni dalla loro istanza e dopo la morte per infarto di Delfino Covezzi, saranno definitivamente assolti per non aver commesso il fatto), dall’altra la relazione da lei scritta (protocollo 1020/01). Sono certa che lei, con la sua lunga esperienza nel campo dei minori, dopo i fatti nuovi emersi con 'Veleno' e le intercettazioni di Reggio Emilia stia almeno considerando che forse, allora, qualcosa non andò per il verso giusto. Noi di 'Avvenire' non possiamo non domandarci – e immagino che anche lei oggi lo stia facendo – con quale cautela e quale prudenza gli psicologi abbiano trattato, e tuttora trattino, bambini diventati adulti e ormai convinti di essere pluriomicidi di bambini mai uccisi. La saluto cordialmente, anche a nome del direttore. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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