Caro direttore,
vorrei riprendere un passaggio dell’intervista di papa Francesco durante il rientro dal Messico e fare un paio di considerazioni. «Un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata: questo, direi soltanto questo. Credo che sia sufficiente. E dico “ben formata”, perché non è la coscienza del “quello che mi pare”. Io mi ricordo quando è stato votato il matrimonio delle persone dello stesso sesso a Buenos Aires, che c’era un pareggio di voti, e alla fine uno ha detto all’altro: “Ma tu vedi chiaro?” – “No”– “Neppure io” – “Andiamocene” – “Se ce ne andiamo, non raggiungiamo il quorum”. E l’altro ha detto: “Ma se raggiungiamo il quorum, diamo il voto a Kirchner!”, e l’altro: “Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio!”... e avanti. Questa non è coscienza ben formata! E sulle persone dello stesso sesso, ripeto quello che ho detto nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro e che è nel Catechismo della Chiesa Cattolica». La prima considerazione riguarda l’esempio dei due politici: le parole fanno intuire che il Papa, all’epoca arcivescovo di Buenos Aires, era intervenuto chiaramente nel dibattito pubblico, forse semplicemente ricordando il buon senso che dovrebbe guidare chi è chiamato alla formulazione delle leggi. Oggi potremmo dire che ci sono politici – anche cattolici – che pur di non “darla vinta” alla Chiesa o al cardinal Bagnasco, votano il contrario, senza sapere neanche ciò di cui si parla. Questa, riprendendo il Papa, non è «coscienza ben formata». La seconda considerazione nasce da quanto potrebbe accadere in Parlamento. Ammettiamo che la legge sulle «unioni civili» passi così com’è. Sarebbe legge dello Stato. E questo la farebbe diventare materia di studio a scuola, e non voglio neanche immaginare con quanta enfasi verrebbe proposta. Di questo risvolto educativo ne siamo consapevoli? E ne sono consapevoli quanti si apprestano a votare?
Don Andrea Vena - Bibione
Di questi tempi arriva sul mio tavolo un gran numero di lettere sulla questione delle unioni gay e della stepchild adoption. Tutte (o quasi) sono molto acute e interessanti, e reclamerebbero risposta. Le considero un segnale ulteriore e importante di una grande volontà di civile partecipazione a un dibattito che interpella profondamente la nostra umanità e che sarebbe assurdo (e impossibile, oltre che ingiusto) tentare di limitare alle stanze della politica di vertice e con modalità ammazza-confronto. Un dibattito al quale tutti – nessuno escluso – hanno pieno titolo per partecipare.
Vengo a questa lettera, caro don Andrea, e alla rilettura “sottolineata”, diciamo così, delle parole del Papa che contiene. Francesco, senza rinunciare a richiamare i princìpi “cattolici” (ma validi ovunque e comunque, pure per chi cattolico non è), ha voluto evitare valutazioni che – ha ripetuto ancora una volta – spettano ai vescovi italiani (in quanto cittadini a pieno titolo e pastori a piena voce): valutazioni, del resto già espresse, con amore per la verità e senso della misura e della responsabilità. Per seguire il filo di ragionamento proposto, spero anche che nessun parlamentare voti sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e in materia di adozione “per dispetto”, anche se ho la sensazione che qualcuno sia davvero incline a farlo e che si rifiuti di valutare le conseguenze (sulle quali abbiamo molte volte ragionato) di possibili decisioni avventate. Detto questo, mi soffermo sull’ultima considerazione proposta nella lettera. Beh, se tutte le leggi – per il solo fatto di essere tali – fossero automaticamente oggetto di studio a scuola, il tasso di legalità nel nostro Paese sarebbe ben più alto! La realtà dice purtroppo qualcosa di diverso: ne è prova il fatto che non si è neanche riusciti, nonostante le generose battaglie del professor Luciano Corradini e splendide iniziative come quella contro le mafie di “Libera”, a riportare nella scuola italiana uno strutturato insegnamento di Educazione civica! Vero è, però, che in questo caso, ci sarebbe effettivamente il rischio ideologico di un uso propagandistico di una normativa che, allo stato delle cose, è assai mal congegnata. Tuttavia – confortato dal parere di giuristi di sicura scienza, diversa scuola e stessa onestà intellettuale: da Cesare Mirabelli a Sabino Cassese – oso pensare che se alla fine il brutto testo predisposto dalla senatrice Cirinnà dovesse diventare legge così com’è, non supererebbe il vaglio della Corte costituzionale. Ovviamente mi auguro che si arrivi a tutt’altro esito. E cioè a una legge sulle unioni civili “sostenibile”, ovvero rispettosa di tutti, utile ad aumentare il tasso di solidarietà nel nostro Paese e a diminuire il livello tossico di confusione in tema matrimoniale, perché fedele alla norma e allo spirito della nostra Costituzione. Per la quale la famiglia fondata sul matrimonio è una, e in Italia non c’è diritto al “matrimonio gay”.