È il titolo che fa sobbalzare: «La famiglia è bella. Ma è meglio non sposarsi».
Così, perentorio.
«È meglio»: e perché mai? Da tempo immemorabile, è vero, risuona il ritornello «il matrimonio è la tomba dell’amore», ma è paradossale che a dirlo, oggi, sia un’attrice italiana tra le più note, una dalle quali ci si aspetta che stia alla larga dalle frasi fatte. Da Stefania Rocca non vorresti mai sentirti dire cose come «non ci sono più le mezze stagioni» o «una volta qui era tutta campagna»... E invece lei, che molti conoscono proprio per un film-cult sul matrimonio – 'Casomai' di Alessandro D’Alatri, anno 2002 – confessa, con l’idea magari di essere anticonformista: «Ho paura che il matrimonio rovini tutto, che le cose possano cambiare e questo equilibrio si possa spezzare». Lo dice dalle colonne (compiacenti e compiaciute, vista la titolazione a effetto... ) di
Repubblica, in un’intervista che peraltro ha passaggi molto intensi sulla sua vita privata, fatta «di due figli, un compagno e un’organizzazione di ferro».
Un altro titolo spara: «Preferisco (con)vivere». E qui ci prende un moto di ribellione: perché noi sposati che facciamo, non viviamo?
Stiamo insieme con nostro marito (moglie) solo per le «regole scritte e imposte»? E perché mai solo due che convivono possono amarsi «con la libertà di scegliersi ogni giorno» (testuale) e due sposati no? Giova dirlo chiaro e tondo: noi sposati possiamo, eccome se possiamo, sceglierci ogni giorno. Perché possiamo decidere, ogni mattina, di crescere insieme, di condividere la strada, di rispettarci ancora e sempre, di rinnovare con entusiasmo, tenerezza e passione le promesse che ci siamo scambiati.
Nella libertà, appunto. Liberi proprio in virtù del legame che ci unisce, non malgrado esso: siamo stati liberi di sposarci, e siamo liberi, ogni giorno, di lasciar sfiorire il nostro matrimonio sotto il peso dell’abitudine, o, al contrario, di impegnarci perché sia davvero una magnifica avventura. Perché sia (o gli assomigli...) il capolavoro della nostra vita. Liberi, dunque. E felici.
Perché se ci sono tanti matrimoni che falliscono, le convivenze naufragano molto di più, e dunque la libertà di non avere legami matrimoniali non è affatto garanzia di buona riuscita di una coppia. Noi sposati, dunque, dovremmo un po’ offenderci quando certi non sposati affermano che il matrimonio è una specie di superflua patente.
Ma non basta. Nella stessa pagina di
Repubblica, Concita De Gregorio racconta la nuova voglia di nozze che ha notato tra alcune giovanissime coppie di conoscenti.
E se ne rallegra, abbozzando un’analisi con le parole di una fresca sposina: «Abbiamo deciso di fare l’unica cosa bella gratis che potevamo fare. Sposarsi è bello gratis, e quando non vedi il futuro è una specie di regalo che ti fai». Forse però bisognerebbe andare oltre e chiedersi perché sposarsi è «una specie di regalo». Ne abbiamo visti e raccontati anche noi, di venticinquenni precari che hanno deciso di sposarsi nonostante tutto.
Sposarsi e non convivere. Perché alla precarietà del lavoro non volevano aggiungere la precarietà degli affetti. Perché volevano costruire una casa solida sotto cui rifugiarsi e trovare forza in un momento difficile. Perché il matrimonio – specialmente per chi lo declina «per sempre» e si affida per questo a un Amore più grande – è camminare in due, come una cosa sola. E impegnarsi per davvero a continuare a farlo ogni giorno, con tanto di promesse e di impegni.
Allora diciamolo: altro che (con)vivere, noi preferiamo vivere.