Ci sono tante cose da imparare nella vicenda del bambino abbandonato in strada a Verona, dall’apparente età di 4 mesi. Anzitutto l’età, quei 4 mesi. Vuol dire che per quattro mesi la madre ha provato a tenerserlo, ma non ce l’ha fatta. Di solito i bambini sono abbandonati appena nati, spesso col cordone ombelicale mal tagliato. Allora vuol dire che la madre ha nascosto la gravidanza, ha partorito di nascosto, e s’è subito disfatta del neonato, per continuare la vita di prima.
Lo Stato lo sa. E per questo ha accolto e incentivato la pratica di installare qua e là le culle termiche, dove tu madre puoi calare il neonato senza essere vista, e il neonato col suo peso, due-tre chili, aziona il riscaldamento, e ci si trova bene. Tu te ne vai con un pensiero che è un augurio: “Ognun per sé”. Non è un pensiero e non è un augurio da madre. Ma così è. Stavolta però è diverso. Questa madre, rintracciata ieri, ha provato a vivere col figlio per ben quattro mesi. Sono tanti. Evidentemente non ce l’ha fatta. Allora ha deciso di disfarsene, ma senza farlo morire.
Non ha applicato l’atroce “mors tua vita mea”, che è un motto nemico, da combattenti di due eserciti ostili, ma un più tenue “vita tua vita mea”, da separati. Un giornale dice che questa madre appartiene probabilmente agli “ultimi”, i più bassi della scala sociale. Il termine “ultimi” mi commuove, scusate se dico perché. Ho scritto alcuni romanzi chiamandoli “ciclo degli ultimi”, so come vivono. Come se la cavano col freddo? Indossando due pantaloni, uno sull’altro. E questa madre ha protetto il figlio di 4 mesi proprio così, con due pantaloni, uno sull’altro.
Tutto in un quartiere di Verona abitato da immigrati, il passante che ha trovato il piccolo è un pakistano. Esperto di bambini, in patria ne ha lasciati tre. Sa che il lamento di un bambino può esser confuso col lamento di un gatto. Il vagito col miagolio. Ha sentito un miagolio, e ha voluto accertarsi. Era un vagito. Gli immigrati fanno rete tra loro, l’uomo pakistano ha telefonato a un amico russo, Vladimir, che è piombato a precipizio, e ha cercato di fermare la prima auto che passava, era guidata da un italiano. L’italiano ha ben capito la situazione, ha detto “parcheggio e torno”, ma non è più tornato.
A venire è stata una volante della Polizia. Quando i poliziotti sono arrivati, hanno trovato il piccolo in braccio a una persona che gli cantava una ninna nanna russa. La ninna nanna è suono più che parola, è musica, e la musica nasce prima della lingua, la lingua separa ma la musica unisce, possiamo non-capire la lingua russa ma capire una cantilena russa, questo piccolo di quattro mesi l’aveva capita e si era placato. Quando arrivano quelli del 113 trovano il piccolo così, calmo e succhiante, col ciuccio in bocca. Secondo me, qui scatta la gerarchia dei poteri: i poliziotti si fanno un sacco di foto col piccolo in braccio, dalle foto pare che la storia del piccolo si apra e si chiuda con i poliziotti in divisa, ma non è così. I poliziotti han fatto il loro dovere. Il massimo onore dovrebbe andare agli stranieri immigrati, il pakistano e il russo, che l’han tirato su.
Nessun onore all’autista italiano che passava di lì, è stato informato di tutto e s’è eclissato. Cosa gli costava portarlo all’ospedale? Avrebbe perso un quarto d’ora, non di più. Costui ha inventato un nuovo principio: “Un quarto d’ora della mia vita val più di tutta la tua vita”. Non è un bel principio.