mercoledì 23 aprile 2014
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Tertium non datur: Alitalia si aggrappa a Etihad o si lascia fallire. La terza opzione, quella non data, sarebbe l’ennesimo salvataggio pubblico. Con soldi dello Stato e quindi dei contribuenti. Tanti soldi che, in questo frangente economico-politico votato per necessità a una revisione della spesa, sarebbe comunque difficile rastrellare (e ancor di più giustificare). La compagnia di bandiera è purtroppo con le spalle al muro. Ce l’hanno messa una crisi lunga decenni e risposte – politiche, industriali, sindacali – sin qui sbagliate. Risposte che hanno sempre curato i sintomi e mai la malattia: troppo esile l’ex vettore di bandiera per un cielo globale, troppo pesante per volare solo sulla piccola Italia o sull’Europa già intasata. Alitalia fu salvata dallo Stato almeno due volte prima del 2008. Un fallimento mal pilotato la consegnò quindi a capitani poco coraggiosi e a un partner industriale, Air France, che l’avrebbe invece volentieri comprata. Scaricando ancora una volta buona parte delle spese, una manciata di miliardi, sui soliti noti: i cittadini. Il progetto industriale basato sui profitti monopolistici della rotta Milano-Roma è stato spazzato dalla crisi e dal successo dei treni veloci. Ci ha rimesso parecchi quattrini anche Air France. Forse più di tutti, fra i nuovi soci, avendo bruciato i fondi conferiti quale azionista nel 2009. Etihad non vuol fare la stessa fine. Per questo chiede di ristrutturare i debiti pregressi, tagliare altri posti di lavoro e "sacrificare Malpensa", facendo di Fiumicino un vero hub intercontinentale con Linate a giocare di sponda. Etihad porta in dote capitali freschi e un’ambizione smisurata: ha spiccato il volo appena undici anni fa con due soli aerei e oggi la sua flotta ne conta 89 con ordini per altri 150. Vuol trasformare l’aeroporto Leonardo Da Vinci nella grande pista per i voli atlantici, mantenendo quella di Abu Dhabi per le rotte verso Oriente. Regalerebbe così ad Alitalia – e all’Italia – quei voli intercontinentali fino a oggi mai decollati. Anche il vettore italiano ha però un valore da spendere. Soprattutto se di fronte c’è Etihad: lo status di compagnia "comunitaria" e i diritti "open skies" che liberalizzano il traffico tra Europa e Nord America. Per quanto la cassa sia vuota e le spalle al muro, Alitalia potrebbe impegnare bene i suoi gioielli. Sta al management, ora, non svenderli. E, anzi, farli valere sul piano della trattativa occupazionale.
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