Tagliare la spesa pubblica è considerato da tutti la misura più efficace per risanare i conti pubblici senza avviare processi recessivi. Tuttavia, nonostante questo obiettivo sia stato enunciato nei programmi di tutti i governi italiani del XXI secolo, nessuno è riuscito a realizzarlo in modo consistente e risolutivo, né Tommaso Padoa Schioppa né Giulio Tremonti. Il fatto è che è facile parlare genericamente di sprechi e di spese inutili o clientelari, ma quando poi si va al concreto si ha a che fare con settori socialmente rilevanti, a cominciare dalla sanità, e soprattutto con personale dipendente che non è semplice far uscire dal posto fisso in un mercato del lavoro così poco promettente. Ora il governo dei tecnici si è assunto il compito di programmare tagli di spesa consistenti, e questa è senza dubbio una scelta saggia, soprattutto per evitare un aumento delle imposte indirette, che sommandosi a quello delle tasse rischia di trasformare la recessione in depressione. La scelta di affidare ad altri tecnici la regia dell’operazione ha sollevato dubbi, ma il punto non è, come diceva Deng Xiao Ping, il colore del gatto ma la sua capacità di prendere i topi. È stata sottolineata da alcuni organi di informazione l’esclusione dal mandato taglia-sprechi del Quirinale, del Parlamento e della Corte costituzionale, ma bisognerebbe ricordare che questo dipende dalle garanzie costituzionali di indipendenza (anche economica) di queste istituzioni dall’esecutivo e non da privilegio o esenzione dai sacrifici. La colossale eredità patrimoniale della Presidenza della Repubblica o le espansioni immobiliari delle Camere possono e debbono essere verificate, questo compito non può però spettare al governo, e sarebbe bene spiegarlo per evitare di alimentare un altro capitolo, del tutto infondato in questo caso, di polemica contro la "casta" politica. Perché un’operazione oggettivamente difficile come quella dei tagli abbia successo è necessaria una forte consapevolezza politica, un impegno di collaborazione non solamente passiva da parte di forze politiche che sono collegate a tante amministrazioni e a tante rappresentanze sociali ed economiche. In questo campo non basta emanare un decreto, ogni iniziativa richiede un impegno corale. Basta pensare a quella che appare la tematica meno indolore, quella del migliore controllo delle spese per materiali delle pubbliche amministrazioni. Si può operare in modo rapido ed effettivamente giovevole in questo campo solo se i responsabili si impegnano a realizzare le indicazioni, se il sistema informativo consente di individuare le criticità, se non si aprono le cateratte del contenzioso amministrativo. Ai partiti di maggioranza spetta dunque un onere oggettivamente pesante, oltre a quello politico dell’approvazione parlamentare delle scelte del governo. Paradossalmente si può dire che in questo campo i partiti razzolano bene e predicano male, cioè esprimono nei fatti un livello elevato di leale collaborazione, che si è espresso anche nel modo sostanzialmente costruttivo con cui hanno concordato correzioni in sede parlamentare ai decreti governativi, ma poi, quando si esprimono in dichiarazioni pubbliche e in iniziative propagandistiche, sembrano vergognarsi del livello lodevole di concordia che finora sono riusciti (e continuano) a realizzare. Vergognarsi con una forma inusuale di ipocrisia della virtù è un modo, un po’ autolesionistico, per evitare che questa venga riconosciuta anche quando c’è. E la dice lunga sulla strana fase che stiamo attraversando.