lunedì 14 dicembre 2015
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L'analisi c’è, condivisa e articolata con unica e allarmata voce. Anche gli obiettivi ci sono, ancor più «ambiziosi» come chiedevano i Paesi europei, per una volta veramente uniti, con l’Italia in testa. Su questi punti i passi avanti fatti a Parigi sono importanti e significativi. Gli strumenti, invece, sembrano ancora grezzi, deboli e troppo in mano alla volontà e alle scelte dei singoli Paesi. L’accordo, perché finalmente di accordo si tratta, raggiunto alla Conferenza internazionale sul clima, indica "nemici" riconosciuti, i combustibili fossili, contro i quali si rischia però di andare ancora in ordine sparso.Eppure papa Francesco nei suoi incessanti appelli, approfondendo e rilanciando studi e sensibilità profonde, aveva indicato la strada. Come lo scorso 25 settembre all’Assemblea generale dell’Onu. «Confido che la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico raggiunga accordi fondamentali e effettivi». Il Papa aveva ben presenti i fallimenti o le promesse non realizzate delle precedenti conferenze. Così sempre all’Onu aveva avvertito che «non sono sufficienti gli impegni assunti solennemente. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica». C’è tutto questo nel documento approvato a Parigi? Solo in parte.Molto importante è l’affermazione che l’accordo «mira a rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, in un contesto di sviluppo sostenibile e di sforzi per sradicare la povertà». È così il riconoscimento, questa volta finalmente corale, che sviluppo, lotta alle ineguaglianze e allo sfruttamento, non possono convivere con l’inquinamento e l’impoverimento delle risorse naturali. L’obiettivo condiviso è dunque di contenere il surriscaldamento del pianeta ben «al di sotto dei 2 gradi», obiettivo d’inizio della conferenza, e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare 1,5 gradi. E questo soprattutto per contenere gli impatti dei cambiamenti climatici già in corso sulle comunità più vulnerabili dei Paesi poveri. Ma su come scongiurare questa death line, questo punto di non ritorno, l’accordo appare ancora troppo legato alle singole scelte degli Stati.Non sono previsti vincoli né sanzioni per chi non rispettasse gli impegni presi. Solo nel 2023 si farà una verifica globale. Per alcuni Paesi, quelli più fragili potrebbe essere tardi. Così appare fondamentale la conferma, pur se solo nel preambolo, del fondo da 100 miliardi di dollari l’anno per sostenerli. Ma anche qui molto resta in mano alle scelte dei Paesi donatori, cioè quelli ricchi e più inquinatori. Attiveranno davvero? E chi controllerà che siano ben spesi? Confidiamo che lo "spirito di Parigi", che ha portato a questo accordo che, comunque, è davvero storico, continui a ispirare la giusta rotta. Siamo tutti sulla stessa barca.
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